26 novembre, 2011

Gioiosa tristezza

Di pagnotte ne ho mangiate parecchie, non dovrei aver bisogno di questo genere di conferme. Eppure, quando gli eventi si combinano in una particolare sequenza è inevitabile abbandonarsi a certe riflessioni.
Basta così poco per essere felici, perché spesso la gioia, non l'appagamento o la soddisfazione, ma proprio quel getto dirompente che ci irrora all'improvviso, lucidando i nostri occhi e sollevando le guance a formare un sorriso, è figlio della fine del suo opposto. È solo l'assenza repentina del dolore.
È brillante come una brace smossa, e come la brace smossa in fretta si spegne, prima in un arancio tenue e poi in un grigio riposante.
È lì che emerge, per i più fortunati, la tranquillità dell'appagamento.
Penso sia proprio la fugacità di queste sensazioni a renderle così importanti.
Siamo delle bestie facili all'adattamento, all'assuefazione. Il nostro cervello percepisce, reagisce, registra, archivia. È un percorso costante e imprescindibile e vale per ogni cosa. Qualsiasi cosa, pensateci.
Qualsiasi esperienza si viva attraversa questi stadi, siano sentimenti o esperienze sociali, qualsiasi cosa viene processata.
Se così non avvenisse, una gioia persistente sarebbe impercettibile. Abbiamo bisogno di soffrire per essere anche felici.
Non dico niente di nuovo, niente che non sia già stato detto e spiegato in modo più efficace e dotto.
Ma ho bisogno di esprimerlo perché mi trovo nel mezzo del guado, abbacinato da un'improvvisa sensazione di felicità che sfugge mentre ancora la sto assaporando. E mi preparo al peggio, perché è meglio così: meglio essere pronti, sapere di che morte morire, non attendersi troppo.
Non lo dico crogiolandomi nel pessimismo cosmico, piuttosto restando avvinghiato a un realismo concreto e riappropriandomi di quel fatalismo che negli ultimi giorni ha tentennato.
Mi godo il momento, la giornata, il presente. Non aspettandomi troppo dal domani, posso concentrarmi su quello che ho e non su quello che potrei o vorrei avere.
Mi cullo un po' di tristezza, perché è gravida di una futura felicità.

Una carezza a Iaco che con tutti i suoi acciacchi, alza ancora il suo sguardo e ti cerca per uno scambio proficuo di affetto.

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