Mi sembrava carino pubblicare un racconto inedito per inaugurare questo blog. Eccovelo di seguito!
Spero apprezziate, e comunque è gratis!
Da quando era stato promosso a capo della divisione Vendite, Diego Garbin era diventato – suo malgrado – abituale compagno di pranzo di Guido Sanchez Agosti, alias Lo Squalo.
Spero apprezziate, e comunque è gratis!
Da quando era stato promosso a capo della divisione Vendite, Diego Garbin era diventato – suo malgrado – abituale compagno di pranzo di Guido Sanchez Agosti, alias Lo Squalo.
Diego, come tutto il resto dell’azienda, detestava profondamente Lo Squalo. Rappresentava l’archetipo del manager new economy: arroganza, supponenza, incompetenza… Insomma una lunga lista di nza dall’accezione negativa. Gli ricordava un personaggio a caso di “American Psycho”. Non che lui potesse chiamarsi fuori, era comunque il capo della divisione Vendite, subito sotto l’amministratore delegato, ma ci era arrivato coi piedi sempre ben piantati a terra e conosceva a fondo la sua materia.
Allo Squalo andava riconosciuta l’intraprendenza, l’assoluta mancanza di scrupoli e l’ottimo fiuto che gli permettevano di trovare di volta in volta la sponda politica vincente con un pizzico di anticipo rispetto ai suoi colleghi. Così, a quarantacinque anni da compiere, Guido Sanchez Agosti era a capo della divisione Finance, in pratica teneva i cordoni della borsa di un’azienda che contava quasi ventimila dipendenti e un fatturato da capogiro.
Ma era tutto lì: più pranzavano insieme, più Diego si rendeva conto di quale vuoto siderale contenesse il corpo flaccido e lattiginoso dello Squalo.
Era un uomo prigioniero di ossessioni assurde. L’apparenza era tutta la sua sostanza. Si preoccupava di avere il modello di macchina aziendale adeguato alla sua posizione; si preoccupava che il colore della macchina fosse adeguato al modello e quindi alla sua posizione; si preoccupava che il colore degli allestimenti fossero adeguati… Insomma, una catena interminabile di vincoli assurdi.
Con la stessa logica era fissato su abbigliamento, modello di cellulare, modello di palmare e notebook, modello di Mont Blanc, quartiere in cui abitare, tipo di palazzina, piano dell’appartamento, metratura. Una gabbia di paranoie.
Il più del tempo, durante i pranzi che Lo Squalo gli imponeva presso l’unico ristorante adeguato nei pressi dell’ufficio, un posto in cui, un brunch qualunque, costava non meno di trenta euro a testa, Diego era costretto a subire sproloqui surreali su scarpe artigianali, acquisti Hi-Tech su Internet, viaggi in Polinesia Francese e investimenti immobiliari tra Trentino e Costa Smeralda.
Per Diego il pranzo era diventato più atroce delle riunioni fiume di venerdì sera, quando i top manager gareggiavano su chi lasciava il meeting per ultimo, solo per dimostrare lo sforzo fuori misura profuso per l’azienda. Spesso l’amministratore delegato, assicuratosi che sarebbero stati tutti presenti, comunicava loro che non avrebbe preso parte all’incontro e che si aspettava un verbale dettagliato nella sua casella di posta entro le nove del sabato mattina.
Beh, quelle riunioni cominciavano a pesare su Diego meno dei pranzi con Lo Squalo. Quest’ultimo doveva averlo preso in simpatia. D’altra parte Diego – essendo stato l’ultimo promosso a capo di una direzione – non aveva ancora affinato gli strumenti per evitarsi quella tortura quotidiana.
L’apice, o il fondo, era stato toccato qualche settimana prima. Erano seduti al tavolo più adeguato del ristorante; sull’esclusiva pedana che da un angolo dominava la sala.
In attesa delle ordinazioni, Diego osservava le persone sedute agli altri tavoli, lasciando che Lo Squalo si parlasse addosso e concedendogli rapidi cenni col capo di tanto in tanto, giusto per non interromperlo e non sentirsi in dovere di fare vera conversazione.
«Ma mi stai a sentire?» gli fece a un tratto Sanchez Agosti.
«Scusa, mi ero distratto, che dicevi?»
«Hai sentito di questa storia sulla moratoria sulla pena di morte?»
«Certo.»
«Tra qualche tempo potrebbero non esserci più paesi che la applicano.»
Stupito dall’argomento, straordinariamente serio rispetto alla norma, Diego si drizzò sulla sedia e si fece attento. «Per come la vedo io, è un bel passo avanti» commentò.
«Sì, sì, può darsi. Anche se, a mio giudizio, per alcuni crimini, la pena di morte è l’unica soluzione. Ma non è questo il punto.»
«Ah no? E quale sarebbe?»
«Escludi paesi come la Cina, l’Iran et similia…»
“Et similia: tipica espressione da coglione new economy!” pensò Diego.
«Ecco, tolti quei paesi, l’unico nel mondo Occidentale che applica con frequenza la pena di morte sono gli Stati Uniti.»
«Sì, credo di sì. Il Texas e la California di sicuro.»
Diego non riusciva a capire dove volesse andare a parare, ma la conversazione di quegli ultimi due minuti valeva più di quelle degli ultimi due mesi.
«La scorsa settimana ho trovato su un sito internet la lista dei condannati in attesa di esecuzione. Per ora l’unica data certa riguarda un certo Raymond H. Jefferson, un omicida recluso nel braccio della morte da quasi quindici anni. L’esecuzione è fissata per il cinque di maggio.»
«Dubito che i tempi di applicazione della moratoria saranno abbastanza brevi per risparmiarlo…» rispose Diego.
«Spero proprio di no!» esclamò lo Squalo sghignazzando e ficcandosi in bocca un grissino.
A questa risposta Diego non poté fare a meno di sbarrare gli occhi. Non sapeva se interpretarla come una battuta o se implicasse un ragionamento assurdo che ancora non riusciva a intuire.
«Come, speri di no? Ti auguri che lo uccidano?»
«Mi auguro di non aver buttato i miei soldi per niente!»
«Ma che stai dicendo?» chiese ancora Diego. Nel frattempo la cameriera aveva servito i primi, ma lo stomaco di Diego si stava chiudendo.
Lo Squalo attese che la ragazza si fosse allontanata, poi si sporse verso di lui e gli sussurrò: «A te voglio dirlo. Sei l’unico in azienda con cui posso confidarmi: ormai siamo amici!»
Il peso di questa affermazione completò la scomparsa d’appetito. Lo Squalo lo riteneva un suo amico, da un lato rabbrividiva per l’enormità dell’abbaglio, dall’altro avrebbe voluto scoppiare a ridere e urlargli in faccia l’opinione che aveva di lui. Così, giusto per vederlo sprofondare, ma si trattenne. Il suo nuovo amico non si era comunque preoccupato di leggere la sua espressione, tanto era preso dall’importanza della confidenza.
«Assisterò all’esecuzione di persona!» gli confessò entusiasta.
«Stai scherzando?» esclamò Diego, incapace di contenere lo choc.
«No! Ho trovato il modo di farmi inserire nella lista.»
«Ma è pazzesco! Per quale motivo?»
«Come per quale motivo?» chiese stupito Lo Squalo. Si tirò indietro e fissò Diego come se lo vedesse per la prima volta. «Non capisci?»
«A dire il vero, no.»
«Cazzo, ma è un’esperienza unica! Una cosa esclusiva, mi costa cinquantamila euro questo scherzetto. Viaggio escluso!»
«Sì, ma cosa ci trovi?»
«Sveglia! Assistere a un’esecuzione capitale per iniezione letale è uno spettacolo unico, lento e intensissimo. Sarò seduto tra i parenti dell’omicida e quelli della vittima. Sempre che decideranno di esserci. Potrebbe essere addirittura l’ultima esecuzione della storia degli Stati Uniti!»
Diego comprese che sarebbe stato del tutto inutile intavolare una discussione sull’argomento con quell’alieno. Osservò il piatto confidando in un risveglio dell’appetito che lo distogliesse dalla conversazione e gli consentisse di non guardare in faccia il pazzo. Ma lo stomaco non voleva proprio saperne, e dopo il primo boccone si arrese.
«Non sai che giro ho dovuto fare per ottenere un aggancio serio. Alla fine ci sono arrivato tramite un venditore di eBay. Un americano con cui avevo già avuto contatti per altre cose, mi ha fornito l’indirizzo e-mail di questo tipo di Sacramento. Uno a cui puoi chiedere qualsiasi cosa, legale o illegale che sia.»
«Immagino che questa sia illegale.»
«Di per sé non è illegale essere presente all’esecuzione, ma la lista segue dei criteri molto rigidi. Ti dico solo che mi sta preparando dei documenti d’identità falsi, mi sostituirò a un’altra persona. Questo è illegale» aggiunse con un sorriso orgoglioso.
«Tu sei pazzo!» Diego glielo disse con la massima sincerità possibile, perché era parte del suo reale giudizio, ma Lo Squalo lo prese come un complimento.
Scoppiò in una risata fragorosa. «Lo so, è una follia, ma se non si fanno per queste cose. Cazzo, quando mi ha sparato cinquantamila ho tentennato, ma poi mi son detto: chi se ne frega. Potrei non avere più l’occasione!»
Diego era così disgustato dalla conversazione, che si sforzò di rimuoverla dalla memoria dal momento stesso in cui si alzarono dal tavolo. Nelle settimane seguenti riuscì a evitare in modo quasi sistematico i pranzi con Lo Squalo. In ogni caso non riparlarono più della questione e Diego non ci pensò più fino al trenta di aprile, quando gli arrivò l’sms dall’alieno: “Parto domattina, quando torno ti racconto. Ciao.”
***
Sanchez Agosti si recò al motel indicato dal suo contatto, sull’autostrada appena fuori Sacramento. Aveva con sé la ventiquattrore coi contanti che aveva ritirato presso una sede della Bank of America.
Dave Stanton, era un uomo grosso come un armadio, coi capelli biondi tagliati corti e naso e zigomi da pugile.
Lo fece accomodare mentre gli preparava un whisky.
Lo Squalo era sopraffatto dall’entusiasmo e dall’effetto eccitante del viaggio. In più era gonfio come un pavone per l’opportunità di sciorinare il suo fluent english!
Afferrò con sicurezza il whisky e lo bevve tutto d’un fiato.
Si risvegliò in un’altra stanza, davanti a un’enorme televisore al plasma.
Non comprese subito dove si trovava. Aveva un forte mal di testa. L’ultima cosa che ricordava era la faccia di Stanton che gli porgeva il whisky, doveva avergli fatto male. Sbatté gli occhi cercando di trovare concentrazione, poi cercò di alzarsi in piedi e allora mise a fuoco la situazione.
Aveva polsi e caviglie legate a braccioli e zampe di una grossa sedia. Non indossava più la camicia e non sentiva alcun dolore tranne il cerchio alla testa.
Nel televisore vedeva se stesso. La telecamera era posta su un cavalletto davanti a lui, sulla sinistra. Nell’inquadratura poteva scorgere solo un piccolo carrello alle sue spalle.
Una plafoniera rischiarava l’ambiente diffondendo una luce giallastra. Il pavimento era rivestito di moquette grigio verde.
Stava riacquistando lucidità poco alla volta.
Si chiese dove fosse finito e perché fosse legato. Subito dopo si ricordò della valigetta coi soldi, non riuscì a scorgerla da nessuna parte.
Provò a muoversi con tutta la sedia, ma doveva essere fissata al pavimento, perché non riuscì a sollevarla di un millimetro.
Iniziò a preoccuparsi e urlò.
Per un po’ non accadde nulla, urlò più volte, chiedendo aiuto prima in italiano, poi in inglese.
Dopo una decina di minuti, Stanton irruppe dall’unica porta.
«Shut up!» gli urlò con uno sguardo carico d’odio.
Lo Squalo provò un misto di sensazioni contrastanti: era terrorizzato da quell’uomo che con tutta probabilità l’aveva sequestrato e gli aveva rubato i soldi, ma era anche soddisfatto della sua comprensione dell’inglese. Anzi, quell’accento era americano! Per un attimo fu tentato di lasciarsi andare in un sorriso.
Stanton gli si piazzò davanti oscurandogli lo schermo.
«So, fucking bastard, you wanted to see a man dying, didn’t you?»
Parlava veloce e aveva un pesante accento, ma Lo Squalo aveva afferrato il senso della frase.
«Well, yes, we have an agreement for that. You’ve got my money!» Intuiva di non essere nella posizione di poter avanzare pretese, ma sperava che fosse tutto uno stupido equivoco e che la cosa si potesse ancora risolvere per il meglio.
«Yes, man. Now it’s my money. You’re gonna get exactly what you’ve asked and paid for. But there’s no need to wait Ray Jefferson’s execution. You’ll be the man!» concluse la frase spostandosi di lato e indicandogli teatralmente la TV.
«What… what do you mean?» chiese balbettando mentre il sudore cominciava a colare abbondante sul viso.
Avrebbe avuto l’esclusiva, avrebbe assistito allo spettacolo che tanto aveva desiderato. Sarebbe stata l’ultima cosa a cui avrebbe assistito. Ne avrebbe avuto una versione ancora più esclusiva, da spettatore e vittima, potendo provare anche il dolore del condannato.
Urlò più forte di prima, implorando pietà.
«Shut up! Nobody can hear you. Get ready for the show!»
Stanton gli bloccò la testa in modo che guardasse dritto davanti a sé. Gli tenne le palpebre spalancate con del nastro e procedette con le iniezioni, secondo la sequenza standard.
Guido Sanchez Agosti assistette all’esecuzione seduto in prima fila, immagini atroci distorte dalle lacrime accompagnarono gli ultimi momenti d’agonia.
***
Due settimane dopo, le autorità americane riconsegnarono il corpo alla famiglia, insieme allo sconvolgente referto autoptico. Lo Squalo non aveva nessuno tranne i genitori, e il piccolo gruppo di persone attorno alla bara, durante il funerale, era composto solo dal top management dell’azienda. Questa volta c’era anche l’amministratore delegato. Mancava solo il direttore della divisione Vendite.
Tenere segreto il motivo di quel viaggio, il significato dell’assurda morte per iniezione letale, secondo Diego era molto più di quanto Lo Squalo avesse mai meritato. Seduto nel piccolo bar all’angolo, mentre i suoi colleghi recitavano altrove la parte degli amici affranti, Diego tirò la linguetta di una lattina di birra e addentò con l’animo tranquillo un appetitoso panino con la mortadella.
2 commenti:
Finale pieno di grande giustizia. ^_^
Ho trovato delle affinità tra Lo Squalo e un mio collega... è grave?
No, non è grave: è più frequente di quanto tu non possa immaginare...
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