15 settembre, 2016

Io per voi - SOS Terremoto - la raccolta si può acquistare

Finalmente il libro è disponibile. Dico finalmente, ma i tempi di realizzazione di questo lavoro sono stati incredibili. Merito delle capacità, ma soprattutto dello spirito e della buona volontà di tutti coloro che ci hanno lavorato.
285 autori, un numero incredibile.
Ho collaborato e ne sono contento. Ora però, tutti hanno la possibilità di collaborare perché il libro è disponibile per l'acquisto.
E non importa affatto se dentro ci sia un racconto di Terzani, King o di un autore famoso a caso. Non importa neanche se i racconti siano più o meno belli. Non è una selezione, né un concorso. Il libro è un pretesto e un mezzo per aiutare chi è rimasto coinvolto nel terremoto del 24 agosto 2016. C'è la possibilità concreta di raccogliere soldi che potranno fornire aiuto.
Nient'altro che questo.
Si può spendere anche solo 2 euro. Tutto il ricavato (al netto delle commissioni obbligatorie dovute ai metodi di pagamento utilizzati, perché non c'è modo di eluderle) sarà devoluto a loro. Si stanno stabilendo gli obiettivi, progetto singolo o raccolta generica di fondi. Ma sarà tutto per loro. E' davvero una spesa minima e una fatica ridicola se si vuole aiutare.
Chi ha messo "Mi piace" a questa pagina, sospetto possa anche dare seguito acquistando il libro, anche solo a 2 euro, ma volendo anche a una cifra superiore. Perché, ripeto, il libro è solo un mezzo e un pretesto. Non c'è neanche bisogno che lo leggiate, se non volete. Leggerlo e apprezzarlo tutto o in parte, è un effetto collaterale, secondario in ogni caso.
Qui di seguito c'è il link diretto per l'acquisto.

https://www.jotformpro.com/form/62533829563968

Usatelo e condividetelo il più possibile. Non può che far bene.
Ho fiducia che lo facciate. E che lo faccia anche chi non conosceva il progetto e la pagina fino a questo momento, fino a questo post.

Forza!!!

08 settembre, 2016

Inno alla cultura

Per qualche giorno non visiterò il pollaio. Salvo imprevisti tornerò il diciannove settembre. Il diciannove l'ho sempre messo tra i numeri buoni, da non disprezzare. Ho avuto delle buone cose dal diciannove, stavolta tornerò nel pollaio e chissà che non troverò ad attendermi una bella sorpresa. Speriamo, non costa nulla.
Una mia amica ha scritto su FB questa frase: "Molte persone sono vive perché è illegale sparargli".
Come darle torto? È la pura verità. Se si rimuovessero certi ostacoli, suppongo che il mondo diverrebbe in breve scarsamente popolato. I sopravvissuti dovrebbero fare i conti con una popolazione piuttosto vivace, aggressiva e determinata, una rivisitazione del "tutti contro tutti" che giocavamo nel cortile sotto casa quando il pallone era uno e i ragazzini non avevano voglia di organizzarsi, ma solo di tirare calci e correre fino allo sfinimento. Bello.
Su quella frase si può ragionare molto. È una frase preziosa che racchiude molte riflessioni. Il senso di una società, della civiltà stessa, dei nostri istinti, della difficoltà di procurarsi un'arma. È assurdo dover arrivare negli Stati Uniti per poter acquistare una bella automatica da scaricare con gaudio contro qualcuno inerme. Ma quando ce lo esportano questo progresso? #marinovattene
Poi vorrei capire se c'è qualche scorciatoia per aggirare la legge, qualcosa di facile. Cercherò un video su iutubb, tanto lì c'è un esempio per tutto, e una buona parola per qualcuno. Magari non si può sparare, ma sequestrare e torturare fino alla morte sì. In Egitto lo fanno e hanno una cultura molto più antica della nostra. Qualcosa vorrà dire; bisogna sempre tenerlo presente, senza farsi prendere dalle emozioni. Anubi, illuminaci!
Comunque è una frase importante, mi suggerisce che siamo liberi e non lo siamo per lo stesso motivo: regole. Quelle che limitano me, ma anche Ndrondrone (per quelle che riesce a capire, un po' come Di Maio).
Dopo ore di andirivieni isterico, si è seduto. Pensavo che non l'avrebbe fatto più. La pressione sale e ripenso a quella frase, è un pensiero circolare, di quelli fastidiosi come il motivetto idiota che ti resta in mente dopo averne ascoltato pochi secondi facendo zapping alla radio: "L'estate sta finendo, andiamo a comandar!" #scusagiuniscusa
Stamattina ho precisato su FB che io non affronto la politica né il resto della mia vita come un tifoso. Che cerco di essere il più libero possibile, soffrendo tuttavia le regole che mi impediscono ancora di liquidare Ndrondrone. Resetto ogni mattina, senza dimenticare, ma riparto, valuto e scelgo sulla base di ciò che vedo. Il mio problema, e per un momento non sono ironico, è che ho grandi problemi di memoria e faccio fatica doppia o tripla a considerare un evento, perché devo ricostruire molto di ciò che ho dimenticato per giungere a una conclusione di cui mi senta un minimo confidente. Mi succedeva già a scuola, ma chiedetemi qualcosa su un film degli anni '50 o su un disco del '72 e vi stupirò. In pratica ho la miglior memoria inutile della mia generazione.
Tornando al tema, disprezzo questo metodo del like o not like su qualunque tema, anche sul tema del like o not like. Questa esigenza di semplificazione la stanno inculcando, più o meno volutamente (#complottounisciipuntini), attraverso strumenti che proliferano sotto la pelle della coscienza (un discorso che necessiterebbe di un approfondimento a parte). È una semplificazione che allarga il bacino (come la legge Gasparri), che accoglie i meno preparati, che legittima i pensieri più superficiali. Crea curve da stadio ovunque. Umberto-mberto-erto-to aveva ragione.
Il problema non è soltanto l'assurdità di dover dividere tutto in buono e cattivo, bello o brutto. Bambini di tre anni sanno già andare oltre questa concezione ed è quindi facile intuire quanto sia degradante riportare a questo stadio degli adulti. No, questo allargamento esploso sul web (ma in rapido trasferimento anche fuori da esso) suggerisce, a mio parere, una dimensione ancora più terribile, si sta concretizzando la realizzazione dell'individuo nella misura in cui esprime la propria posizione su qualunque cosa o contro qualunque cosa e, nella punta più estrema, in una battaglia continua contro chiunque la veda in modo differente.
Alle 7:30 di mattina leggo post asprissimi pubblicati da persone che stimo, che si svegliano e si affannano a sottolineare per la milionesima volta, spesso con parole di altri, quanto siano pro o contro qualcuno/qualcosa. Cazzo, non è necessario, non quanto il caffè, comunque. E non cambia nulla questa infinita definizione. E non è mai tutto nero o tutto bianco. Solo Ndrondrone è tutto scemo.
Inspirate, contate fino a tre, espirate. Pensate che si può cogliere il meglio da tutti e non trovare il peggio in tutti.
Mi piacerebbe, come a tutti, avere una classe politica che pone sopra ogni cosa la dignità della singola persona. Che persegue la crescita della nazione attraverso l'educazione. Perché l'educazione genera tutto: benessere, civiltà, rispetto, accoglienza e, ovviamente, una classe politica migliore della precedente. Mi piacerebbe, appunto.
Ed è per questo motivo che l'unica battaglia che per me avrà sempre ragione di essere combattuta è quella all'ignoranza, perché tutto può essere ricondotto a quello. Gli errori e gli orrori commessi in nome di qualunque cosa, sfruttano l'ignoranza. La politica sfrutta l'ignoranza, le religioni lo fanno. Lo dice la storia. A un popolo colto, che non si tatua "vaffanculo culo moscio" in cinese senza accorgersene, non interessa metterti il pollice su FB, ma votarti o cacciarti via col voto. Non gli racconti che l'acqua è asciutta se hai finito gli asciugamani. Preoccupiamoci di conoscere, perché conoscere è anche saper riconoscere.
Perché l'unica vera assoluta libertà passa per la conoscenza. Perché un mondo in cui tutti, ma proprio tutti, avessero l'accesso alla conoscenza, sarebbe un mondo in cui il cattivo si vedrebbe come uno stronzo di cane sulla neve e a cui potremmo rivolgere la canna della pistola per un esilio, quello sì, senza indulgenza.

Come dicevano i Clash: "We're against ignorance". Cazzo, aggiungo io.

07 settembre, 2016

L'orizzonte degli eventi e il crepaccio della contessa Elvira

Mi sa che ho messo un piede oltre, non riesco più a vederlo. Meglio così, soffriva di fascite plantare. Devo ammettere di nutrire da molto tempo il sospetto di essere vittima di un campo gravitazionale infinito, una singolarità spaziotemporale classica. Non sapevo ancora se fosse coperta da orizzonte degli eventi o fosse nuda. Avendo fatto il passo più lungo della gamba e avendo perso di vista il piede, posso affermare con certezza la presenza dell'orizzonte degli eventi. 
Sospetto che la mia coscienza risiedesse là in fondo, non si spiegherebbe altrimenti il no-sense che continuo a sperimentare ogni giorno. Sì, sì, devo aver ragionato sempre coi piedi, anzi, col piede. Il mio piede destro (da non confondere col film, 'ché quello era il piede sinistro).
Dopo il piacevole "Concerto per trapano ben temperato" di ieri — critiche entusiastiche a cinque stelle hanno inondato la rete spazzando via le polemiche politiche dell'urbe (anch'essa a cinque stelle) — stamattina il collega di cui lo strabuzzo d'occhi di ieri, ha invitato al bar i pochi polli presenti di buon'ora nel pollaio. In un mondo ideale il suo invito avrebbe coinciso col punto della sinusoide in cui Ndrondrone è lontanto dall'aia. Ma esiste Murphy con tutte le sue certezze, e questo significa — ça va sans dire — che il capoccione dondolante si è aggregato alla truppa.
Essendo il quarantesimo compleanno del nostro collega (di nuovo auguri e uno solo di questi giorni ancora nel pollaio) offriva lui, ma Ndrondrone, sbragato sulla sedia, se ne è voluto assicurare prima di concederci l'onore dell'accompagno. "Eh eh, paghi te: allora auguri!"
Poi mentre zigzagava lungo il tragitto, con me rigorosamente alle spalle per non essere investito, cercava di introdursi in qualunque conversazione nascesse.
Non ricordo con esattezza chi o cosa abbia aperto l'argomento pazienza e tolleranza, ero troppo concentrato a evitare le sue calcagna dalle traiettorie imprevedibili (neanche fossi Sébastien Loeb senza navigatore), ma d'un tratto le mie orecchie hanno udito cose da teatro dell'assurdo (Beckett e Ionesco ce spicciano casa), cose che non avrebbe potuto immaginare neanche Roy Batty (e lui di cose ne aveva viste). Qualcuno, alla presenza del nostro esimio responsabile, gli faceva notare amabilmente e senza traccia alcuna di acrimonia, che di pazienza e tolleranza nel pollaio diamo ampia dimostrazione ogni giorno. Io tacevo ed evitavo ostacoli.
A questa affermazione lui replicava con tono da lasopiùlungaio, "Voi? E io? Ricordati che è tutto relativo nella vita. Se tu sei paziente e tollerante con me, lo sono anch'io, neanche immagini quanto".
All'obiezione pacata che forse il bilancio non è così in equilibrio, lui insisteva, anche un filo piccato.
Ho cominciato a sentire la palpebra vibrare e un poderoso tridimensionale ruggito risalirmi la laringe. Avrei snudato le zanne e scuoiato il suo grugno dallo sguardo bovino con un unico assordante GROWL, ma ancora una volta il terrificante strato culturale che mi sorregge mi ha trattenuto.
Il responsabile, assente ieri mentre un Lerua Merlen era stato improvvisato tra le scrivanie, in un momento di quiete mi ha chiesto lumi, subodorando fosse successo qualcosa di recente. Gli ho detto "Roba de trapani a batteria, lassa sta".
Gli ho chiesto se si possa organizzare un po' di room rotation, come l'affidamento condiviso: 3 anni a noi (già fatti), dieci anni a qualcun altro e così via... Ha sorriso amaro togliendomi anche l'ultima speranza.
Qualche giorno fa, in uno dei tanti fiumi di cazzate che vomita nelle orecchie di chiunque gli conceda un minimo di ascolto, aveva esclamato, sempre ridacchiando: "Perché io so' un uomo pericoloso".
Credo intendesse dire: "Sono un uomo in pericolo". Sì, sì, sicuramente intendeva in pericolo.
Perché lui è un uomo in pericolo, senza alcun dubbio lo è ogni minuto di più.
Qui è pronto l'orizzonte degli eventi e, come diceva il conte Alfonso Pasti, rimembrando la fine della contessa Elvira, finita nel crepaccio. "Il crepaccio. Sparisti nel crepaccio. Ma come sparisti nel crepaccio? Perché? Ma chi t'ha dato la spinta?"


06 settembre, 2016

L'arte del lavoro rilassante.

Iniziamo agevolando l'immagine, scattata pochi secondi fa. Siore e siori non siamo nella bottega di Geppetto, né in un anfratto casalingo dedicato al bricolage. Siamo nel cuore pulsante della niueconomi, dove si sviluppano softuer costosissimi che gestiscono reti costosissime che supportano servizi raffinatissimi, che non funzionano manco a calci...
Ebbene, come rinunciare all'opportunità di costruirsi una cassetta di compensato in ufficio? Non si rinuncia, come insegna Wilde. Così, di ritorno da una riunione (meno tediosa, rissosa e inconcludente della media) torno nel pollaio e mi metto seduto. Il tempo di sbloccare la postazione che parte il rumore di un trapano a batteria. Prego Cthulhu di essere finito in nuovo episodio di "Specchio Segreto" (rifuggo le pacchiane versioni moderne), inspiro a fondo, ma so di aver già perso. Oltre il divisorio della mia postazione, l'argenteo, ingombrante e vuoto testome di Ndrondrone si volta ridacchiando: "Eh, Strumm, do fastidio?"
"Fastidio? per carità, mi ci faccio gli impacchi sul prepuzio col trapano a batteria..." rispondo accomodante.
"Eh, abbiate pazienza due minuti". So duecento anni che abbiamo pazienza, e il mio pensiero vaga tra imprecazioni mistiche di ogni specie. Un collega, uno degli acquisti recenti, ma già martoriato dal Ndrondrone, si alza con gli occhi sbarrati. Mi guarda disperato.
Intanto Ndrondrone comincia a trapanare, cassetta e zebedei, e prosegue imperterrito nonostante gli vengano rivolte, in modo variamente articolato, richieste di interruzione dell'improvvido obbi.
Niente, se ne sbatte il cazzo (detta alla Charlie Hebdo). Continua finché non ha forato completamente la cassetta.
Il collega di cui sopra lo avvisa: "Attento che non diventi la tua di cassa..."
"Ah ah, non c'entro".
"Troviamo il modo".
"Ti faccio a pezzi" spiego sempre più accomodante.
"Non ci entro neanche a pezzi".
E, come si spiegherebbe a un cucciolo di batterio, aggiungo: "Una volta fatto a pezzi, poco me ne cale che tu ci entri oppure no: il problema sarebbe risolto".
"Poi i pezzi li spediamo pure" continua il mio collega con fervore.
"No. Non li spendo i soldi per spedire i pezzi. Se a qualcuno interessa recuperarli, se li viene a prendere".
E lui niente, se ne sbatte e finisce il lavoro. Mentre tutti in stanza subiscono in nome della civiltà che ci impedisce di prenderlo a sediate.
San Giuseppe falegname, anche con l'aiuto di Madre Keith Teresa Richards da Calcutta e di tutti i nullafacenti attorno a te, potete fare qualcosa da lassù? Un fulmine a ciel sereno (o anche nuvoloso), un morbo inguaribile e non contagioso, una storta che gli sgretoli femori e bacino. Insomma, o intervenite voi d'ufficio, o è inevitabile che qualcosa di molto brutto succederà qui, in questo buco maledetto.

Da "Totò Peppino e le fanatiche", Mario Riva insegna l'arte dell'hobby a Peppino.
 

05 settembre, 2016

Déjà-vu, colletti gialli e mani sporche

Qualche giorno fa leggevo un interessante articolo sul fenomeno chiamato déjà-vu.
Il risultato di una specifica ricerca ha spiegato che, con tutta probabilità, si tratta di un processo di verifica che il nostro cervello esegue sulla memoria. Serve ad assicurare la coerenza tra ricordi ed esperienze realmente vissute. Trovo sempre molto affascinante qualsiasi scoperta o approfondimento sui meccanismi che animano il nostro cervello, perché una cosa è certa: ne sappiamo davvero poco.
Questa scarsa conoscenza giustificherebbe, almeno in parte — sotto il profilo biologico —, l'incomprensibile comportamento del Ndrondrone. In ogni caso, oggi il tema è diverso.
Qui in azienda si stanno concretizzando grandi cambiamenti, si sviluppano in modo più o meno sotterreaneo da quasi un anno, ma ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato le trame stanno venendo alla luce.
Càpita allora che si intercettino nei discorsi, nelle telefonate, durante le audioconferenze, nomi che pensavo sepolti dietro cumuli di polvere, in cassetti sconnessi di credenze nascoste nella soffitta della memoria. E càpita anche di incrociare volti che un giorno erano familiari, quotidiani, presenti. I compagni di giornate passate a sbattersi su documenti e su attività infinite.
Come per tutte le cose, ci sono aspetti positivi e negativi. C'è soprattutto un rimbalzo temporale, la percezione istantanea di quanto tempo sia passato, di quanto tutto sia cambiato senza modificarsi affatto. Certe facce sono uno specchio indiretto, la consapevolezza che si è invecchiati, perché lo specchio è invecchiato. L'impercettibile pendenza dello scorrere del tempo si tramuta in un gradino improvviso contro il quale si infrangono le tue fragili convinzioni di essere rimasto un ragazzotto.
Mi piacerebbe tornare a quei tempi, non soltanto per recuperare quindici e più anni di vita, o per cullare l'illusione di poter evitare qualcuno degli errori commessi (solo i morti non sbagliano mai), ma per assaporare di nuovo l'entusiasmo e gli stimoli che in quei giorni mi spingevano a dare qualcosa che andasse oltre l'impegno imposto dal senso del dovere.
Forse questo cambiamento, questo cerchio che si chiude all'indietro, ci spingerà in avanti. Lo farà senza un progetto, lo farà perché è nel destino. È una possibilità che auspico. Preferisco tornare a combattere per un obiettivo di cui capisco i contorni, piuttosto che soffocare le imprecazioni più turpi contemplando l'andirivieni insensato del Ndrondrone o le chiacchiere imbarazzate e tardive di chi ho pizzicato scappare dal bagno senza lavarsi le mani. Adulti quasi sessantenni, padri dalle parvenze civili che "omettono" di darsi una sciacquata dopo esserselo scrollato nel segreto di un loculo.
Di questa miseria umana, da cui neanche io posso fuggire, ne ho avuto abbastanza.