Qualche giorno fa leggevo un interessante articolo sul fenomeno chiamato déjà-vu.
Il risultato di una specifica ricerca ha spiegato che, con tutta probabilità, si tratta di un processo di verifica che il nostro cervello esegue sulla memoria. Serve ad assicurare la coerenza tra ricordi ed esperienze realmente vissute. Trovo sempre molto affascinante qualsiasi scoperta o approfondimento sui meccanismi che animano il nostro cervello, perché una cosa è certa: ne sappiamo davvero poco.
Questa scarsa conoscenza giustificherebbe, almeno in parte — sotto il profilo biologico —, l'incomprensibile comportamento del Ndrondrone. In ogni caso, oggi il tema è diverso.
Qui in azienda si stanno concretizzando grandi cambiamenti, si sviluppano in modo più o meno sotterreaneo da quasi un anno, ma ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato le trame stanno venendo alla luce.
Càpita allora che si intercettino nei discorsi, nelle telefonate, durante le audioconferenze, nomi che pensavo sepolti dietro cumuli di polvere, in cassetti sconnessi di credenze nascoste nella soffitta della memoria. E càpita anche di incrociare volti che un giorno erano familiari, quotidiani, presenti. I compagni di giornate passate a sbattersi su documenti e su attività infinite.
Come per tutte le cose, ci sono aspetti positivi e negativi. C'è soprattutto un rimbalzo temporale, la percezione istantanea di quanto tempo sia passato, di quanto tutto sia cambiato senza modificarsi affatto. Certe facce sono uno specchio indiretto, la consapevolezza che si è invecchiati, perché lo specchio è invecchiato. L'impercettibile pendenza dello scorrere del tempo si tramuta in un gradino improvviso contro il quale si infrangono le tue fragili convinzioni di essere rimasto un ragazzotto.
Mi piacerebbe tornare a quei tempi, non soltanto per recuperare quindici e più anni di vita, o per cullare l'illusione di poter evitare qualcuno degli errori commessi (solo i morti non sbagliano mai), ma per assaporare di nuovo l'entusiasmo e gli stimoli che in quei giorni mi spingevano a dare qualcosa che andasse oltre l'impegno imposto dal senso del dovere.
Forse questo cambiamento, questo cerchio che si chiude all'indietro, ci spingerà in avanti. Lo farà senza un progetto, lo farà perché è nel destino. È una possibilità che auspico. Preferisco tornare a combattere per un obiettivo di cui capisco i contorni, piuttosto che soffocare le imprecazioni più turpi contemplando l'andirivieni insensato del Ndrondrone o le chiacchiere imbarazzate e tardive di chi ho pizzicato scappare dal bagno senza lavarsi le mani. Adulti quasi sessantenni, padri dalle parvenze civili che "omettono" di darsi una sciacquata dopo esserselo scrollato nel segreto di un loculo.
Di questa miseria umana, da cui neanche io posso fuggire, ne ho avuto abbastanza.
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