31 agosto, 2016

Cella frigorifera o piranha?

Qualche anno fa mi capitò di vedere un documentario sui piranha. La loro aggressività, oltre a ispirare una serie di lungometraggi d'autore, rappresenta nell'immaginario collettivo una specie di riferimento assoluto. Non troppo grandi, non troppo carini (sembrano dei pac-man con le pinne), eppure così letali. Il documentario spiegava che la frenesia che li trasforma in belve incontrollabili è scatenata, molto semplicemente, dal superamento dei 26° delle temperatura dell'acqua. Questo accade perché, per istinto, il riscaldamento dell'acqua suggerirebbe al loro cervello che la concorrenza sta diventando eccessiva e il cibo potrebbe scarseggiare. Quindi, caccia le zanne e magna!
Insomma, vanno capiti: meglio un bagnante oggi che un pollo domani.
Osservando il pollaio in cui vegeto molte ore al giorno, devo ammettere che di piranha non v'è traccia. Qualche scorfano, un paio di bavose, quattro calamari e uno sgombro. Di squali è piena l'azienda, ma non scendono mai nei nostri loculi, quelli predano dove le carni sono più saporite, la nostra è al massimo di seconda scelta. Nulla di troppo appetitoso.
A volte, però, l'effetto termico si innesca. La convivenza, l'intimità al limite del promiscuo innalza la tensione, pizzica i nervi, inietta gli occhi di sangue.
L'altra mattina, il 25 agosto per l'esattezza, Ndrondrone interrompe un discorso chiedendoci se sapessimo se A. viene al lavoro o sta ad Amatrice. Qualcuno gli dice che è ad Amatrice dalla notte prima, come volontario della Protezione Civile, lo è da molti anni. Ndrondrone è in ansia, qualcuno gli chiede il perché. Lui risponde che vuole chiamarlo per raggiungerlo, per andare a dare una mano, perché BISOGNA aiutare!
Gli diciamo, scrivigli, non lo chiamare, mandagli un sms o un messaggio con whatsapp, non lo chiamare. Quando avrà modo ti risponderà. Ringrazia in modo esagerato e se ne va col volto stravolto da pensieri di salvatore della patria.
Non farà poi nulla, per fortuna.
Ma qualche ora dopo si avvicina a un collega. Con fare ammiccante gli chiede: "Tuo figlio è ancora appassionato di fotografia?" Lo era due mesi fa, non c'è motivo che sia finito tutto così velocemente. Il collega comunque risponde cauto: "Immagino di sì, perché?"
"Be', questo è il momento giusto", ridacchia. Poi, vista la mancanza di reazione del mio collega, Ndrondrone prosegue, sempre ammiccante: "Per andare ad Amatrice con la macchinetta. Io pure c'ho pensato". È appassionato di fotografia da sempre, ma qui — a me che sono stronzo — non può che chiudersi il circuito con l'episodio di ansia mattiniera.
Il mio collega ha la prontezza di rispondergli con un viso di marmo: "Andrebbe a fare lo sciacallo".
E lui, temporaneamente consapevole: "Eh, be', certo, non è il caso". Assume anche un'aria contrita, giusto un secondo. Poi riprende a passeggiare freneticamente su e giù.
E la temperatura sale, non c'è verso di evitarlo, supera i 26, i 28 e i 30 gradi. Aumenta anche la puzza, senza sosta fino a oggi. La stanza è satura di questo puzzo di meschinità. Chiedo a un collega di aprire un po' la finestra, c'è bisogno di cambiare l'aria, siamo intrisi di aria condizionata e stronzate vaporizzate.
Lui rientra pochi secondi dopo in stanza, ha da fare una telefonata di lavoro dopo giorni di nulla. Mentre compone il numero, nell'illusione che qualcuno gli dia retta come si fa con un grande manager, esclama: "Si può accendere l'aria condizionata? Fa caldo ed è umido". Nessuno lo fila, ma sento qualche mandibola scattare.
E così penso con desiderio all'acquisto di una bella cella frigorifera da esterno. La collocherei nel giardino qui sotto. Messa nel punto giusto, lo inghiottirebbe durante una delle sue passeggiate a capo chino. Neanche se ne renderebbe conto. Si chiude da fuori (e si apre solo da fuori). I consumi non sono un problema, non c'è nessuna necessità che venga mai accesa. Vicino ai grossi motori del condizionamento dell'edificio, nessuno la noterebbe. Sarebbe un modo ecologico per ripulire l'aria, stemperare l'ambiente ed evitare che dei buffi pesciolini si trasformino in famelici piranha.

Io Scrivo per Voi - SOS Terremoto



Lo metto anche qua, perché ogni possibilità va sfruttata. Questa iniziativa, promossa da Andrea Franco (uno scrittore che lavora per Giallo Mondadori), è nata in seguito al sisma del 24/08 scorso. Esistono tanti modi per provare ad aiutare le persone coinvolte in questa catastrofe. Ho amici che sono lì, o sono stati lì, come volontari, intervenendo nelle operazioni di salvataggio e di allestimento dei campi. Altri hanno contribuito o contribuiscono offrendo beni attraverso le raccolte organizzate. Altri ancora inviano soldi, con bonifico o con il noto SMS al 45500.
È importante tenere presente che nessuna di queste possibilità esclude l'altra. Nei limiti delle capacità di ciascuno di noi, si possono fare anche più cose. Questa iniziativa tenterà di raccogliere fondi mettendo in vendita un eBook realizzato con il contributo gratuito, totalmente gratuito, di autori. Non c'è stata selezione, non è un concorso. Il tutto è stato realizzato in tempi brevissimi, perché la velocità è elemento strategico in questa situazione. Si sta procedendo alla correzione dei testi, circa duecento. Tanti sono rimasti fuori soltanto per questioni di tempo, perché organizzare la raccolta è comunque impegnativo ed era necessario porre un limite.
Il senso è partecipare, provare a contribuire. Io l'ho fatto mettendo a disposizione un racconto inedito e offrendomi per la correzione dei testi. Da parte vostra, se davvero non avrete la possibilità di acquistarlo (sarà comunque messo in vendita a un prezzo basso per aumentare la diffusione il più possibile), potrete comunque diffondere l'iniziativa tramite amici, conoscenti o viandanti che dovessero inciamparvi davanti mentre andate al bar per uno spritz.

Questo è il link della pagina facebook dedicata: 

https://www.facebook.com/ioscrivopervoi/

#IoScrivoPerVoi

Baci.

24 agosto, 2016

Speriamo che stanotte ce fa dormi'!

Senza tregua.
Le mie risorse sono limitate, ma non esiste mai tregua.
Alle 10 passate Ndrondrone varca la porta dell'ufficio, e drammatico come nemmeno Lawrence Olivier in diretta da Helsinor, ha sfogato tutta la sua esperienza notturna verso un pubblico indifferente e anche un filo infastidito. Perché nessuno te l'ha chiesto e perché, soprattutto oggi, dei tuoi presunti problemi non può fregarcene di meno.
Ma quello non la smette, parla e straparla, che gli si dia spago oppure no. E mette in fila una serie di cazzate e contraddizioni senza fine.


La cronologia degli eventi. 
E' una cosa importante e ha fatto finire in gattabuia molti cialtroni.

"Ho dormito un'ora e mezza, dalle sette alle nove" (pure Francis il mulo parlante sa che sono due ore)
"Mi sono svegliato alle tre e mezza" (e quindi hai dormito almeno fino a quell'ora oltre che alle due di prima)
"Poi dopo la seconda scossa non ho più ripreso sonno" (suggerisce che tra le due scosse ti sia riappisolato e andiamo sempre a sommare)
"Ho acceso la TV su rainews24", quindi, ridacchiando prosegue "stavano facendo la telecronaca" (che cazzo c'è da ridere?)
"Poi so arrivato alle 10" (ma non è affatto chiaro il perché non sia venuto prima)
"Sennò dovevo prende' un giorno di ferie, invece così prendo due ore e vado via" (che cazzo vuol dire? arrivo alle 10 per evitare di prendere il giorno, e prendo solo due ore? E' un quiz di fisica quantistica?)


Affermazioni random.
Sempre senza domande, lui prosegue così:
"Sai, è brutto quando ti svegli che il parquet cigola. Poi ho due lampade che..." (non finisce la frase, ma ammicca come se il concetto fosse evidente).
"Il gatto è impazzito. Sai, io vivo da solo, ho il gatto. E' impazzito" (temo non sia l'evento di questa notte ad aver mandato fuori controllo lo sventurato felino).
"Poi io vivo al sesto piano" (l'altezza sarebbe più che sufficiente).


Quindi le utili conclusioni
Perle di saggezza, oserei dire

"Certo che è stata una brutta botta", e poi, sbragato sulla sedia: "Speriamo che stanotte ce fa dormi'!" chiude ridacchiando.


Ora lo so, giuro che lo so, in fondo è una brava persona. Ma non si può. Bisogna sapersi misurare, bisogna avere consapevolezza di sé, del contesto, dell'ingombro. Almeno in giornate del genere è necessario contenersi. Lui non è un mostro da web, di quelli pronti a lapidare l'aria con luoghi comuni e odio gratuito da frustrazione di vita grama. Non è uno sciacallo.
No, lo so. Ma non è neanche normale comportarsi da deficiente totale, da non capire i contorni del mondo, della realtà che si vive. E' come osservare un brutto fotomontaggio dell'alba del cinema, si vede il contorno, si capisce che è incollato su uno sfondo col quale non potrà mai mescolarsi a sufficienza. E allora, almeno, il silenzio mitigherebbe il pessimo effetto.
Soprattutto oggi.

19 agosto, 2016

La quadratura del cerchio

Oggi è giorno di Solidarietà in ufficio. Di 18 agosto, quando la quasi totalità dei dipendenti è in ferie, significa che il comprensorio, il palazzo, il piano, il corridoio e le stanze sono vuote. Quasi tutte, ça va sans dire, nella nostra siamo cinque su 12.
E indovinate Ndrondrone?
Alle 8:00 bruciava chilometri e tabacco fuori dell'edificio. Alle 8:02 mi frantumava i gioielli in stanza. Alle 8:05, dopo l'ennesima uscita/entrata/uscita dalla stanza chiedeve se avessimo caldo (l'aria condizionata era già a palla da chissà quanto). Quando gli è stato risposto di no da un mio garbato collega, ha esclamato "Allora sono io. Si vede che non mi sento bene".
"Vai a casa, se stai male" gli è stato risposto con serenità.
"Eh no, e che mi prendo mezza giornata di ferie?"
"No, ti metti in malattia, se stai male".
"No, no: che malattia!"
E ha ripreso a passeggiare in stanza, ho ringraziato il destino che non mi ha reso disponibile un bazooka in quel preciso momento.
Comunque, più tardi, è saltato fuori che per il terzo o quarto anno consecutivo, ad agosto, lui ha terminato ferie e permessi... No, non scherzo: ha terminato tutto. Di solito accade a luglio.
La settimana scorsa il personale gli ha autorizzato un giorno di ferie extra. Ben inteso: è stato ancora lui a rendere noti i suoi cavoli al mondo intiero.
Il giorno di ferie extra altro non è che un anticipo sulle ferie dell'anno successivo. E' un meccanismo semplice, chiedi e ti sarà dato. Molto cristiano.
Così, ragionando oziosamente su questa logica, abbiamo concordato sul fatto che il personale ha tutto da guadagnare da questo metodo. L'anticipo ferie è garantito dal TFR ed è un credito per l'azienda.
Certo, l'assenza straordinaria dall'ufficio potrebbe recare qualche ripercussione operativa, ma anche sotto questo aspetto — con il Ndrondrone — c'è solo da guadagnarci.
In realtà abbiamo dedotto, a seguito di sapienti elucubrazioni e complesse simulazioni al computer (basate quasi interamente su tabelle pivot e macro excel) che se intensificassimo questa abitudine, se la estremizzassimo, se si riuscisse a convincerlo che una richiesta massiva e sistematica di ferie anticipate non potrebbe che fargli bene, avremmo trovato la soluzione ad almeno tre questioni gravose e impellenti (ragioniamo su qualche decennio di ferie).
1) lui potrebbe godere di più tempo fuori dell'ufficio per ritrovare la serenità perduta e dare il giusto spazio ai suoi più nobili interessi (ora non è il momento di perderci in dettagli, ma la degustazione di veleni potrebbe essere una splendida occupazione)
2) l'azienda recuperebbe, attraverso il credito accumulato, parte del mastodontico debito che l'affligge. In conseguenza di ciò potrebbe decadere l'esigenza dell'istituto della Solidarietà e potrebbe essere restituita, con la giusta gradualità, una serie di privilegi per tutti i dipendenti
3) last, but not least: le probabilità che mi tramuti in un truce assassino (stile Canaro) verrebbero azzerate in pochissimo tempo. Come si dice: "lontano dagli occhi, lontano dalle palle".

Se oggi applicassero la logica preventiva di "Minority Report" il mio nome uscirebbe con costanza e ineluttabilità a ogni estrazione. Estraiamo lui e s'abbracciamo.

Dio salvi la regina!


Note: senza i miei colleghi non sarei mai riuscito a dimostrare che ce la possiamo fare. Un grazie anche alla suola in gomma che oggi silenzia la camminata del Ndrondrone.

18 agosto, 2016

Una crepa interdimensionale

"Visto che devo sta' qua tutto il giorno, meglio avere qualcosa da fare". Sacrosanto!
Il problema è che, in modo graduale, a causa degli effetti spesso devastanti di quel fare, i compiti a lui affidati sono diminuiti fino a raggiungere lo zero. E così, non si capisce bene il perché da prima delle 8:00, ogni mattina ndrondrone è qui ad annoiarsi. E ad annoiare. Spende dai 60 ai 700 euro giornalieri alle macchinette, tra taralli, crostatine, cipster al formaggio e caffè. Per tenersi sveglio, si capisce. Come Totò in "Totò, Peppino e i fuorilegge", quando contestava alla sua avarissima moglie (l'inarrivabile Titina De Filippo) lo scarsità della tazzina, che gli serviva per esser desto.
Per inciso, ogni tanto dovremmo rivedere tutti i primi dieci minuti di quel capolavoro di comicità. Fa bene al cuore.
Comunque la dilapidazione della metà dello stipendio tra macchinette, bar e mensa non è affar mio. Lo è il continuo andirivieni tra la macchinetta e la stanza su scarpe dai tacchi rumorosi, scartando costantemente involucri fruscianti, sgranocchiando senza contegno e girando freneticamente caffé che poi beve con risucchio. Sì, come un bambino alla prima minestra calda. E, come un bambino, grugnisce, starnutisce senza controllo e condivide tutta la sua attività corporea.
Poverino, si annoia, e deve ammazzare il tempo, si capisce. Almeno finché il sottoscritto non lo libererà in via definitiva da questa agonia (la Roma - Fiumicino è sempre a due passi da qui, semmai volesse fare una bella sgambata contromano).
Ora nel pollaio siamo diventati dodici, responsabile incluso, e qualcun altro, che prima non frequentava ndrondrone, ha iniziato a rendersi conto della situazione. Gli si dà fiducia tutti, in principio, perché è un povero cristo, ma poi ci si accorge, abbastanza in fretta, che è una vera jattura e che meno si interagisce, meno si intacca la propria dose di pazienza e tolleranza da ufficio.
Così arrivano nuovi richiami, più o meno aspri, difficilmente acidi come i miei, da nuove persone, e questo — a chiunque altro — indurrebbe un minimo di riflessione, di autocritica, ma in lui no. Lui è imperturbabile, invulnerabile, ineffabile, o più semplicemente incosciente. E' chiuso in un bozzolo di insensibilità simile a quello di un arto addormentato. Sono tutti sassi gettati in uno stagno. Non c'è verso che abbia, anche solo per l'accidentale collisione di due neuroni, uno scatto di consapevolezza. Sospetto che in quel testone ci sia il vuoto pneumatico, o un brodo primordiale pronto a tracimare e a spazzare via l'umanità e la versione di realtà che conosciamo.
E poi ci sono gli episodi, infiniti, che mi mandano in vibrazione, imponendomi nuovi interrogativi. E non li cerco io, me li raccontano sadici colleghi che ormai conoscono quanto io sia debole.

Gli ultimi due aneddoti.

Primo:
entrato alle 7:30 o giù di lì, alle 9:25, aggregandosi a un gruppo di colleghi al caffè lamenta di non aver potuto timbrare perché i lettori indicavano tutti "uscita". Lo sbigottimento ha assalito i presenti per due semplici motivi:
  • quei lettori sono installati da anni e tutti, anche un ricciolo di polvere del garage, sanno che basta toccare lo schermo per commutare da "uscita" a "entrata".
  • ha, come molti di noi, l'obbligo di una sola timbratura ed è del tutto indifferente se la stessa sia indicata come "entrata" o "uscita" purché sia rispettato l'orario
Secondo: 
ha cinquantanni, nulla da fare in ufficio, visto che lamenta la noia, ma lascia che sia suo padre ottantenne a fargli la denuncia dei redditi e non si preoccupa di verificare, al minimo, che sia stata fatta. Poi scopre, quando non gli arriva nessun rimborso, che il padre — sant'uomo —  aveva inserito tutto correttamente sul sito dell'INPS, ma si era fermato all'esito OK della verifica automatica (supponendo fosse sufficiente) senza inviare i moduli completati. Ora deve rivolgersi a un commercialista e fare il modello unico.
Unico. E' la definizione più calzante e meno crudele.
Sì, lo so, comincia a sembrare un'ossessione, ma posso garantire che se lo spostassero anche solo di due stanze più in là, tutto si concluderebbe. Sto esorcizzando, sto razionalizzando, sto evitando di diventare un killer.
Preferisco pensare che a causa di una sfortunata crepa nel tessuto spazio-tempo una "cosa" sia precipitata in questa versione dell'universo, in questo continente, nazione, città, ufficio, stanza e che, prima o poi, arrivi qualcuno a riprendersela indietro, anche senza chiedere scusa (ci mancherebbe).
A me bastava Menelao Strarompi di Panelli. Questo eccesso di realtà mi strema. Datemi fiction (non RAI se possibile).



08 agosto, 2016

Quella strana vacanza a Zagabria.

Leggevo dell'incidente occorso ad Adriano. Mi dispiace per lui, ma non mi sorprende più di tanto: è sempre stato schiavo del suo storico tormentone. Quando iniziammo a fare parapendio, ormai molti anni fa, appena toccavamo terra intonava quel ritornello strillato e roco. L'istruttore, un ex-paracadutista di Belluno lo guardava con divertimento e, più per spegnere le grida, che per reale convinzione, si organizzava subito per il volo successivo. Per la legge dei grandi numeri, prima o dopo sarebbe dovuto accadere.
Comunque questa sventura del Pappa, mi ha fatto ricordare uno strampalato viaggio in Croazia (all'epoca splendida Jugoslavia) in compagnia di Werner Herzog e K.K. Era più o meno questo periodo dell'anno, a pochi giorni dal ferragosto. Werner mi chiamò dopo colazione, lo ricordo con certezza, perché corsi dal bagno ancora a braghe calate (nel 1985 non esistevano i cellulari). Quando gli confessai che mi aveva beccato sul trono,  ridemmo di gusto. Werner è un uomo di grande cultura e per questo trova divertente anche l'umorismo alla Gianni Ciardo.
Comunque mi chiese se volessi accompagnare lui e K.K. a Zagabria. Colse la mia perplessità e quindi mi spiegò che K.K. era infastidito dalla notorietà di cui ancora godeva Bela Lugosi, nonostante la sua formidabile interpretazione di Nosferatu. Aveva deciso di andare oltre, voleva fare abbattere la distanza tra l'attore e il personaggio.
Esclamai: "Werny, ma che cazzo si è bevuto stavolta?"
"Niente, lo giuro. E' quasi un mese che va avanti questa storia, e se non lo porto a Zagabria non se ne esce".
"Scusa l'ignoranza, ma perché Zagabria? Ma non è più logico andare in Transilvania per queste cose?"
"Ma dove vivi? Non lo sai che i dentisti in Croazia costano la metà?"
A quel punto realizzai: K.K. voleva farsi impiantare due canini super-extra-lusso. "Ma non gli basta una dentiera col fischietto, di quelle di Carnevale? C'è un giocattolaio sotto casa mia che le vende a 1500 lire".
"A K.K.? Scherzi? No, lui vuole l'impianto funzionante".
"Capisco, è una questione seria. Mi do una pulita e ti richiamo".
"Ok, ma sbrigati!"
"Ah, prima che mi dimentico: io per ferragosto avevo già in programma un viaggio in Polonia con l'amico di Martucci".
"Ma con le calze?"
"E le penne. Abbiamo già tutto, si va a Cracovia", spiegai.
"Eh, vediamo. Al limite prendi un aereo da Zagabria e lo raggiungi".
Finì che ci incontrammo a Trieste e da lì, con l'auto di K.K., proseguimmo insieme. Pareva di viaggiare nella macchina degli Addams: un incrocio tra un carro funebre e un castello ambulante. K.K. l'aveva fatta personalizzare e si era attrezzato perfino un sagello dove riposare durante i lunghi tragitti. A me sembrava un tantino eccessivo, ma Werner si era raccomandato di non dargli peso, per non aggravare l'ossessione del nostro amico.
Per inciso, con la scusa del vampirismo, se ne stava tutto il tempo incappucciato e con le mani incrociate e a noi toccava guidare.
Per fare conversazione bisognava provocarlo parlando di Bela.
Arrivati a Zagabria riuscimmo a convincerlo a vestire un po' più casual, per non dare nell'occhio. Facemmo leva sul fatto che un vampiro a zonzo sotto il sole a picco attira l'attenzione.
Cercammo subito un barbiere: doveva radersi la pelata con cura una volta al giorno.
Nel pomeriggio andammo dal dentista. Aveva un attico stile Bertone in piazza Petar Preradović, le finestre affacciavano sulla cattedrale della Trasfigurazione del Signore, una coincidenza bizzarra, viste le intenzioni di K.K.
Io e Werner avevamo provato a dissuaderlo con cautela, come quando si fa con un adolescente che voglia tatuarsi un giaguaro sulla scapola o un ideogramma sulla pancia, se ne avrà a pentire prima o poi, ma K.K. è sempre stato cocciuto come un asino di Orosei.
Il dentista, tale Franjo Susic, gli scarabocchiò un paio di idee sul retro di un manoscritto del XIII secolo.
La prima bozza avrebbe trasformato K.K. in una specie di tigre dai denti a sciabola, col rischio di infilzarsi il costato al primo colpo di sonno. Nel secondo, più discreto, i due grossi denti avrebbe poggiato sul mento, anche qui, soluzione poco pratica.
Cercando di aiutare il mio amico, lanciai l'idea di una dentatura retrattile. Werner alzò il sopracciglio incuriosito, mentre K.K. ordinò: "Disegnalo!"
"Ok", risposi. Allungai la mano per farmi passare la penna dal dott. Susic, ma questi sghignazzò: "Te la sogni questa penna, è appartenuta a Paracelso!"
In effetti sembrava una BIC piuttosto antica e preziosa. Non potevo perdermi in una discussione del genere. Mi guardai intorno e, non vedendo alcuna penna a disposizione, chiesi loro di aspettare e andai a recuperare il borsone per Cracovia dal portabagagli della macchina.
Per sbrigarmi portai su tutto.
Quando tirai fuori il pacco di BIC, K.K. mi sgranò gli occhi e posso assicurare che quello sguardo era inquietante anche senza zanne sguainate. "Ma che cazzo ci fai con tutte quelle penne?" esclamò in dialetto transilvano.
"Devo fare ferragosto con l'amico di Martucci, a Cracovia", risposi.
"Non mi avevi detto niente".
"K.K., sono due giorni che parliamo solo di denti e di Bela Lugosi", lo rimproverai bonariamente.
A quel nome fu scosso da un brivido. "Ok, ok. Ma a che ti servono quelle penne a Cracovia?" chiese, mentre anche Franjo si sporgeva dalla sua poltrona Luigi XV.
"Be', insomma, insieme alle calze di seta che ho nel borsone, dovrebbero spianarci la strada..."
"Ma di che parla?", si intromise il superdentista.
Chiusi il pugno e feci un gesto inequivocabile col braccio. Improvvisamente fu come se un enorme sole si fosse acceso in quello studio sterminato.
K.K., in un unico elegante movimento, lanciò il mantello oltre una finestra aperta e spianò la gobba. Sul viso gli si aprì un sorriso da marpione. Franjo Susic allontanò con un calcio la costosa poltrona mandandola in frantumi e si piazzò a gambe divaricate in una posa alla Elvis Presley: "E se mi aggregassi? Ho una collezione di penne antiche!"
Io restai con la BIC in mano, a bocca aperta. Incrociai lo sguardo di Werner, silenzioso alle loro spalle. Mi sorrideva sornione, forte della sua profonda conoscenza dell'animo maschile che così si può riassumere: "Tira più..."
Nel pomeriggio partimmo per Cracovia su una Rolls bianco perla del nobile odontoiatra. Che poi, coi prezzi dei dentisti a Zagabria, ancora non sono riuscito a spiegarmi come avesse accumulato tante ricchezze.
A Cracovia incontrammo l'amico di Martucci, aveva dimenticato penne e calze, ma ne avevamo d'avanzo.
K.K. si trasformò in una specie di Sukia al maschile, Vlad III di Valacchia impallidirebbe al racconto della devastazione che K.K. riuscì a portare nella città polacca.
Anche l'odontoiatra piazzò qualche otturazione e non fu da meno l'amico di Martucci. Werner e io li lasciammo fare, sono bimbi, si sa.
Werner riprese qualche scena, che poi, saggiamente, decise di dare alle fiamme.
Una sera, mentre K.K. gongolava tra due polacchine, Werner mi si avvicinò: "Guarda. Osserva", suggerì intrecciando le mani nel classico gesto dell'inquadratura. "Ha abbandonato il ruolo, la sua ossessione, e ora è felice".
Mi sentii in dovere di correggerlo: "Werny, a me sembra solo che abbia cambiato ossessione. Ha ancora delle brutte occhiaie, ma non sono più fatte con la matita".

04 agosto, 2016

Pranzo ad Alghero, in compagnia di uno straniero.


Ndrondroni esclusi, l'ufficio in agosto è più tranquillo.
Così oggi, stufo dei panini del bar, ho deciso di prendere un aereo per mangiare un boccone in spiaggia ad Alghero.
Volevo arrivare a Castelsardo, ma rischiavo di non fare in tempo per uno staff meeting fissato alle 14:00.
Sulla spiaggia di Alghero, passa quotidianamente un tatuatore indiano che realizza ritratti impressionanti anche sui petti villosi. Gli ho visto realizzare un Chuck Norris in venti minuti che levati! I capezzoli sono diventati occhi penetranti e il vello una fantastica criniera con barba.
Quando sono arrivato, mi sono subito sparato un metro quadro di carasau imbottito di porceddu e innaffiato di mirto bollente. Una vera delizia per il palato.
Contavo che arrivasse l'artista, avendo deciso di omaggiare la mia compagna incidendomi uno suo ritratto a dimensioni reali con sotto la scritta 'A una persona piace questa foto' accompagnata da un bel pollice all'insù. Una cosa moderna, social, trendy. Tutto ciò che mi appassiona, ma si sa che la vita ci riserva spesso delle sorprese ed è stato così anche ad Alghero.
A due ombrelloni di distanza ho notato un vecchietto rinseccolito infilato in un poncho malmesso.
Lì per lì non l'avevo riconosciuto, sebbene quella mise mi risultasse bizzarra nonostante l'ambiente vezzoso che sono solito frequentare ogni giorno.
Poi ha sollevato il braccio e infilato il sigaro in bocca: era il mitico Clint Eastwood!
E' tanta l'ammirazione che provo per lui, più come regista che come attore a essere sinceri, che non potevo evitare di andare a incontrarlo.
Ho preso una bottiglia di filu 'e ferru' dalla borsa frigo (perché avevo letto su wikipedia che ne va ghiotto) e mi sono diretto verso la sua temporary beach house.
Clint è silenzioso, ha lo sguardo imperscrutabile, più rughe di E.T. e un fascino che odora di tabacco andato a male.
Se ne stava seduto con gli stivali buttati da un lato, coperti da uno Stetson meraviglioso. Mancava solo il lazo per una perfetta natura morta western. Lo chiamo, ma non batte ciglio. Provo con l'accento di San Francisco (ne padroneggio almeno una ventina), ma continua a fissare imperterrito davanti a sé, verso il mare splendido della Sardegna.
Con garbo, provo a sventolargli davanti la bottiglia di nettare trasparente, senza preavviso l'afferra con un movimento fulmineo, il movimento Sergio Leone #24. Sorrido, lui non corrisponde. Ma quanto è guappo!
Con un morso strappa il tappo di sughero, lo sputa via insieme alla dentiera!
Tracanna senza staccare gli occhi dall'orizzonte. Poi la infila per metà nella sabbia, non si preoccupa di passarmela.
E' proprio Clint Eastwood, cazzo! Vorrei essere Eli Wallach per gridargli "Ehi, biondo, non conosci le buone maniere?"
Ne sorseggio un po' anch'io e la ripiazzo nella sabbia. Sta passando il tatuatore, ma ormai il mio obiettivo è parlare con Clint. Mi organizzo per un selfie accanto a lui, ma come preparo la fotocamera sento un 'ntz-ntz'. Mi volto, lui sta facendo rotolare tra i denti il sigaro, orienta le pupille verso di me e ripete 'ntz-ntz', vuol dire niente foto.
Rimetto subito in tasca il telefono.
"I've read your opinion about Trump", azzardo, per scoprire se l'argomento lo interessa. Stringe per un attimo il sigaro, poi si rilassa.
"It was interesting: He says stupid things, still you're going to support him" aggiungo. Non so se il mio inglese lo aggradi, ma il senso dovrebbe coglierlo. Nessuna reazione.
Mi rassegno, dopotutto è già meraviglioso trascorrere qualche tempo sulla spiaggia assieme a uno dei miei miti.
Passa un quarto d'ora, beviamo un altro po' e comincio a fissare anch'io l'orizzonte.
Un vociare alle nostre spalle attrae la mia attenzione. C'è un gruppo di persone armate di telefonini che arretrano riprendendo qualcosa.
Allungo il collo per capire cosa succede: stanno filmando l'avanzata di una coppia. Sono Fortini e Muraro. Lui infilza cartacce, lei gli tiene aperto un saccone nero per l'indifferenziata. Si sorridono, sembra scoppiata la pace. Giungono fino a noi. L'arco dei cronisti si allarga includendo anche Clint e me, sono così concentrati sulla strana coppia che nessuno sembra riconoscere il cineasta americano.
"Ecco, vede?" esclama Fortini con piglio autorevole. "Si trovano schifezze anche sulle meravigliose spiagge della Sardegna, e i turisti ci si accampano accanto senza protestare. E' così: nella rassegnazione alla sporcizia, che si viene sommersi dai rifiuti!"
Non capisco a cosa si riferisca, ma la Muraro annuisce compiaciuta e allarga la bocca del sacco.
Quando Fortini allunga la pinza, Clint sguaina la Colt e gliela punta in faccia: 'ntz-ntz'.
Tutti restano paralizzati, i cronisti continuano a filmare. Scoprirò in seguito che c'era anche una diretta web in corso. "Si calmi, metta via quella pistola! Voglio solo raccogliere quella schifezza gialla accanto a lei", prova a spiegare Fortini.
'ntz-ntz'
La Muraro riconosce quel volto e cinguetta: "Ma è Clint Eastwood!", un brivido percorre i presenti. Una cronista sviene per l'emozione.
"Signor Eastwood, vogliamo solo ripulire la spiaggia", aggiunge la dirigente. Poi un omone obeso allarga la fascia dei cronisti. E' grondante d'acqua, di ritorno dal bagno, è calvo e lentigginoso. Si china verso la schifezza, fa l'occhietto a Clint e se la piazza sulla pelata. "Thank you, pal!"
Clint annuisce. "I'm not going to support you anymore", aggiunge.
Il ciccione lo guarda perplesso.
"You told me you can't swim", continua Clint. "I don't care if you say stupid things, but you're a lier. I brought you here to check".
"But I could have died".
"Yes, but honestly".
In lontananza sento Tuco gridare "Ehi, biondo... Lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima putt..."
Clint si gira e mi passa la bottiglia. "I think I'm going to miss the staff meeting", osservo.
Il biondo sorride.

A cena con David Zard e Dario Baldan Bembo

Ieri pomeriggio mi chiama David Zard, è a Roma insieme a Dario Baldan Bembo e mi chiede se ci si vede per cena.
Verifico i miei appuntamenti con la segretaria, poi lo richiamo "OK, ti mando le coordinate di gmap via mail".
"Mandale a Dario", mi dice lui: "Io uso lo StarTAC".
E' sempre stato un po' reazionario.
Lo porto da "Gino lo Scavezzacollo", un ristorante storico in cui si cucina qualunque cosa, ma con specialità di pesce e carne. Mi conoscono, e quando entro con i due miei amici, mi danno un tavolo tranquillo, all'angolo della sala.
David mi confessa di esser diventato un vegano integralista, da due settimane, e districarsi nel menù non è banale.
Mentre si abboffa di carote e altre soluzioni creative, da Gino i vegani sono fuori luogo, io e Dario sbraniamo carpaccio di cuore di cerbiatto, cervello di rane, purea di zinne di vacca.
Gli chiedo come mai è a Roma.
"Mi ha chiamato la nuova giunta".
"Devono organizzare un concerto in piazza?"
"No, è per la raccolta dei rifiuti".
Sbarro gli occhi e mi lecco le dita dal sangue dell'agnello moribondo accasciato sulla fiamminga posta tra me e Dario. "I rifiuti?"
"Sì".
"E in che modo dovresti aiutarli?"
"Sai che vogliono cambiare rotta, che vogliono rompere con i vecchi metodi, la vecchia politica, bla-bla-bla?"
Annuisco e lui continua. "L'idea è di sfuttare le mie capacità organizzative nello spettacolo per organizzare eventi abbinati alla raccolta differenziata settimanale. Chi non va a un evento organizzato da David?"
Dario sorride mentre strappa il polmone a un pulcino pigolante.
"La peppa, che trovata!" esclamo impressionato. "Stavolta hanno fatto centro! Spero tu accetti!"
"Eh, non sono sicuro".
"Perché? Aiuteresti tanto Roma".
"Sono impegnato nell'organizzazione del megaconcerto di Pineto, e purtroppo c'è qualche problema".
"In che senso? Ho letto che Orietta è in gran forma".
"Sì, dopo il risveglio dall'ibernazione sta che è una meraviglia, ma non riesco a trovare il giusto gruppo d'apertura".
"Vuoi scherzare? Faranno la fila!"
"Macché. Ho provato anche a Roma la settimana scorsa, ho fatto centinaia di audizioni tra gli emergenti. Vorrei dare l'occasione a dei ragazzi. Ma tutte queste band alternative sono terrorizzate dal giudizio dei social. Il fatto di avere il mare sullo sfondo, un palco di quattrocento metri quadri, l'amplificazione di campovolo e centomila spettatori non basta. Loro devono stare nella serata "giusta". Non suonano prima di Orietta neanche a pagamento".
Interviene Dario, "Gli ho detto di fare come l'anno scorso. Ha la soluzione già pronta, ma vuole INNOVARE".
"Scusa, ma parli degli Slayer?"
"Sì, aprirono il concerto di Orietta e fu grandioso. Duettarono con lei in 'Finché la barca va'. Senza considerare cosa combinarono in albergo dopo il concerto. Osvaldo è ancora imbarazzato. Sono ad Alba Adriatica tutto il mese".
"Scusa, ma sei riuscito a convincere gli Slayer e non riesci a convincere un gruppo emergente?"
"I più grandi sono sempre i più umili. Loro erano qui per una vacanza gastronomica a base di arrosticini e olive ascolane. Come ho prospettato la possibilità di suonare sul lungomare e garantirsi una settimana di cibarie gratis (a onor del vero pretesero anche montepulciano a volontà) hanno firmato".
D'un tratto vedo David tendersi in viso. Do le spalle alla sala e quindi non capisco cosa stia seguendo con lo sguardo, ma è sempre più nervoso. Provo a richiamare la sua attenzione, ma mi fa un gesto brusco con la mano. Continua a guardare da sinistra a destra e ritorno e mi intima di non voltarmi. Senza distogliere l'attenzione dal misterioso obiettivo alle mie spalle, rovista sul tavolo finché non afferra un grosso coltello che ci avevano lasciato per affettare una cucciolata di cinghiali. David è rosso in volto, sconvolto dall'ira, ma concentrato su qualcosa o qualcuno. Non vorrei essere quel bersaglio. Sento un ringhio salirgli dalla gola e infine, urlando un "Fermati maledetto!", scaglia con violenza il lungo coltello affilato. Sento un versaccio soffocato e poi un grosso tonfo sordo.
A quel punto mi alzo di scatto e mi volto.
Ndrondrone è lì, agonizzante, con le mani cerca di estrarsi la lunga lama che gli ha attraversato il collo recidendo la carotide.
"E cazzo!" esclama David, "E' da quando ci siamo seduti che fa avanti e indietro e ciondola quella testa enorme!"
Gli stringo una spalla. "Ti capisco".
Ci sediamo tranquilli, qualcuno nella sala applaude. Dei camerieri trascinano via la carcassa, il barbecue è sempre acceso nel giardino.
Il volto di David è tornato sereno. Si riempie il bicchiere di vino e chiama il cameriere.
"Vuole altre carote? Offre la casa" gli dice con un sorriso sincero.
"No, grazie. E' possibile avere una tagliata di cuccioli di panda?"
"Ma certamente! Anche questi li offre la casa per..." il cameriere tentenna, ma indica con la mano la pozza di sangue sul parquet lucidato.
"Ottimo! E dell'altro vino!"
Gli altri ospiti della sala lentamente si avvicinano, si radunano intorno a noi. E' il magnetismo di David.
Con lui ogni occasione diventa un evento, un successo.
Salute!