Qualche anno fa mi capitò di vedere un documentario sui piranha. La loro aggressività, oltre a ispirare una serie di lungometraggi d'autore, rappresenta nell'immaginario collettivo una specie di riferimento assoluto. Non troppo grandi, non troppo carini (sembrano dei pac-man con le pinne), eppure così letali. Il documentario spiegava che la frenesia che li trasforma in belve incontrollabili è scatenata, molto semplicemente, dal superamento dei 26° delle temperatura dell'acqua. Questo accade perché, per istinto, il riscaldamento dell'acqua suggerirebbe al loro cervello che la concorrenza sta diventando eccessiva e il cibo potrebbe scarseggiare. Quindi, caccia le zanne e magna!
Insomma, vanno capiti: meglio un bagnante oggi che un pollo domani.
Osservando il pollaio in cui vegeto molte ore al giorno, devo ammettere che di piranha non v'è traccia. Qualche scorfano, un paio di bavose, quattro calamari e uno sgombro. Di squali è piena l'azienda, ma non scendono mai nei nostri loculi, quelli predano dove le carni sono più saporite, la nostra è al massimo di seconda scelta. Nulla di troppo appetitoso.
A volte, però, l'effetto termico si innesca. La convivenza, l'intimità al limite del promiscuo innalza la tensione, pizzica i nervi, inietta gli occhi di sangue.
L'altra mattina, il 25 agosto per l'esattezza, Ndrondrone interrompe un discorso chiedendoci se sapessimo se A. viene al lavoro o sta ad Amatrice. Qualcuno gli dice che è ad Amatrice dalla notte prima, come volontario della Protezione Civile, lo è da molti anni. Ndrondrone è in ansia, qualcuno gli chiede il perché. Lui risponde che vuole chiamarlo per raggiungerlo, per andare a dare una mano, perché BISOGNA aiutare!
Gli diciamo, scrivigli, non lo chiamare, mandagli un sms o un messaggio con whatsapp, non lo chiamare. Quando avrà modo ti risponderà. Ringrazia in modo esagerato e se ne va col volto stravolto da pensieri di salvatore della patria.
Non farà poi nulla, per fortuna.
Ma qualche ora dopo si avvicina a un collega. Con fare ammiccante gli chiede: "Tuo figlio è ancora appassionato di fotografia?" Lo era due mesi fa, non c'è motivo che sia finito tutto così velocemente. Il collega comunque risponde cauto: "Immagino di sì, perché?"
"Be', questo è il momento giusto", ridacchia. Poi, vista la mancanza di reazione del mio collega, Ndrondrone prosegue, sempre ammiccante: "Per andare ad Amatrice con la macchinetta. Io pure c'ho pensato". È appassionato di fotografia da sempre, ma qui — a me che sono stronzo — non può che chiudersi il circuito con l'episodio di ansia mattiniera.
Il mio collega ha la prontezza di rispondergli con un viso di marmo: "Andrebbe a fare lo sciacallo".
E lui, temporaneamente consapevole: "Eh, be', certo, non è il caso". Assume anche un'aria contrita, giusto un secondo. Poi riprende a passeggiare freneticamente su e giù.
E la temperatura sale, non c'è verso di evitarlo, supera i 26, i 28 e i 30 gradi. Aumenta anche la puzza, senza sosta fino a oggi. La stanza è satura di questo puzzo di meschinità. Chiedo a un collega di aprire un po' la finestra, c'è bisogno di cambiare l'aria, siamo intrisi di aria condizionata e stronzate vaporizzate.
Lui rientra pochi secondi dopo in stanza, ha da fare una telefonata di lavoro dopo giorni di nulla. Mentre compone il numero, nell'illusione che qualcuno gli dia retta come si fa con un grande manager, esclama: "Si può accendere l'aria condizionata? Fa caldo ed è umido". Nessuno lo fila, ma sento qualche mandibola scattare.
E così penso con desiderio all'acquisto di una bella cella frigorifera da esterno. La collocherei nel giardino qui sotto. Messa nel punto giusto, lo inghiottirebbe durante una delle sue passeggiate a capo chino. Neanche se ne renderebbe conto. Si chiude da fuori (e si apre solo da fuori). I consumi non sono un problema, non c'è nessuna necessità che venga mai accesa. Vicino ai grossi motori del condizionamento dell'edificio, nessuno la noterebbe. Sarebbe un modo ecologico per ripulire l'aria, stemperare l'ambiente ed evitare che dei buffi pesciolini si trasformino in famelici piranha.