18 ottobre, 2016

Radio Elettra, Wilson Wilson e Italo il criceto

Ho un criceto. Vive nella sua gabbietta. Corre nella ruota gran parte del tempo, ama farlo guardando la TV. È un appassionato di Forum e Pomeriggio 5. Quando non corre, sgranocchia qualcosa, defeca o dorme. Il giorno successivo, stropicciati gli occhietti neri, entra di nuovo nella ruota e inizia da capo. L'importante è che non gli si spenga la TV. Mi costa più di corrente che di mangime.
L'ho osservato per qualche settimana, prima di scegliere un nome. Ma le sue routine sono talmente stabili, i suoi gusti così radicati, che non potevo che chiamarlo Italo. Pensateci, è il nome giusto per chi fa la vita da criceto.
Mi sta aiutando a scrivere questo post, vi dirò alla fine come. Me l'ha suggerito il cane.

Ho cominciato a interessarmi del referendum qualche tempo fa. Non so ancora se andrò vestito elegante o casual. Forse elegante mi si noterebbe di più, ma dipende anche dal meteo. Comunque avevo preparato due mise e un ombrello, ma in seguito ho fatto scelte diverse.
Per la raccolta informazioni sul referendum ho tentato un approccio graduale. Innanzitutto lo spot istituzionale, ma ho avuto una sensazione bizzarra, come se mi stessero fornendo informazioni parziali, troppo vaghe. E mi sono detto: "Strumm, questo spot non basta!" Anche perché, dovendo giustificare un'uscita in giacca e salama, non posso essere impreparato.
Allora, mi sono rimboccato le maniche, ho indossato la muta, la bombola e il boccaglio e mi sono tuffato nel web.
Ah, nel web c'è più assortimento di opinioni che razze di pesci lungo la grande barriera corallina. Orde di sostenitori del "NO" (compresi quotidiani completamente schierati), orde di sostenitori del "Sì" (compreso parte di un parlamento eletto con legge giudicata anticostituzionale, e un premier non eletto che alterna personalizzazioni e spersonalizzazioni con la disinvoltura con cui Rocco cambia partner sul set).
E mi sono detto: "Strumm, queste posizioni non bastano!", e anche Rocco è sembrato d'accordo.
Così ho cercato analisi più fredde (anche se qualcuna tradiva un malcelato grado di simpatia per uno dei due schieramenti) e più o meno dettagliate .
Infine, ho tratto qualche considerazione rapida (alcune riprese di recente anche da Luca Telese, che mi sta simpatico più o meno come un istrice infilato nell'uretra).
1) qui si cambia la costituzione, superando (un verbo che evoca l'evoluzione) il bicameralismo perfetto, ma non si chiarisce da subito come si eleggono i parlamentari. Sanno anche gli acari del mio letto che l'Italicum sarà da modificare, perché cadrà sotto la scure della corte costituzionale (probabilmente già il 5 dicembre). Ma non si potrebbe prima mettere a posto la legge elettorale? farne una che per una volta sia rispettosa della costituzione? mah...
2) si manda al Senato un gruppo di individui selezionati arbitrariamente e non eletti, che hanno già incarichi territoriali (al di là dell'onerosità dei compiti, viene da chiedersi quanto male riusciranno a fare l'una e l'altra cosa)
3) i compiti di questo Senato (delle regioni?), se non ho capito male — ma su questo aspetto ci torno dopo — non avranno possibilità alcuna di incidere su temi regionali.
Eh??? "file not found" - "fatal error" - "not enough data" - "the system will reboot in 60 seconds"
4) il presidente della repubblica non può sciogliere le camere. E neanche ristrutturarle, neanche la classica rinfrescata che si dà a primavera (perdendo quindi anche gli sgravi fiscali)
5) alcuni dello schieramento del Sì, sottolineano che la semplificazione permetterà una più semplice approvazione delle leggi, perché siamo lenti. Non mi quadra e non mi interessa: in Italia i numeri, non io, dicono che di leggi ne passano mille-mila. La questione è quante di queste leggi siano degne di passare. O è un vantaggio per il PIL, o del numero delle leggi, onestamente, me ne frega quanto di un raffreddore di una zanzara eremita in Perù.
6) tra le varie ed eventuali (perché questo non ha la pretesa di essere un post di approfondimento politico, né tantomeno di orientamento al voto, c'è un'affermazione che ciclicamente viene ripresa da molti dei sostenitori del Sì. In sostanza ammettono che si potrebbe fare meglio, ma che almeno si muove qualcosa, si cambia.
Ma siamo sicuri che sia sufficiente? È come avere mezza macchina già oltre l'orlo del precipizio, dondolante, e fregarsene se uno spostamento sia verso il baratro o verso la strada. A me sembra un po' deboluccio come argomento. Ma vogliamo capire dove diamine stiamo andando?

Passiamo ad altro.

Per gli ignoranti come me, il CNEL e il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro. In pratica dovrebbe dare pareri e promuovere attività legislativa su materia economica e sociale. Incide come il quattro di cuori quando si gioca a Subbuteo. L'hanno messo dentro, perché se lo sono ricordato o per dire che tagliano i costi. Non l'hanno abolito in altre occasioni perché è inserito nella costituzione e quindi va abolito con modifica costituzionale. In 50 anni (è stato creato nel 1957) ha avanzato proposte per solo 14 leggi, mai discusse in parlamento. Costa al massimo 20 milioni di euro l'anno (i soldi della benza per l'aereo del premier), meno del barbiere del Senato. Mai cagato da nessuno. Pace, non pensateci più.

Ma ora, dopo il caffé, passiamo all'articolo 70. Il famigerato mutante della costituzione 2.0.

Ecco, io sono un uomo qualunque, l'omino della strada. Ho letto quello attualmente in vigore, che — dovete perdonarmi — riporto integralmente di seguito: 

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.

Poi ho letto, riletto, scomposto, analizzato il nuovo (che non riporto integralmente per non mandare in crash Internet).
Dopo una dozzina di riletture, io sono sempre un uomo di mezzi modesti, non riuscendo a capire con esattezza il senso di certi passaggi e, soprattutto le implicazioni dirette e indirette, temendo di essere io il problema, mi sono testato con una versione polacca dell'Ulisse di Joyce. In particolare ho letto, mentre ascoltavo in cuffia i Gorgoroth e tessevo un elegante centrino all'uncinetto, il monologo di Molly Bloom.
Ebbene, è filato via liscio come Zanardi. Un razzo, una lippa.

Allora sono tornato all'articolo 70, e di nuovo sono andato in "out of memory".
Ho provato a leggerlo ad alta voce, ma sembravo De Boer che imitava Dan Peterson mentre impersonava Don Lurio in una tragedia scritta da Luca Giurato.
Ho avuto delle terribili coliche renali, il naso che sanguinava e ho deciso di cavarmi gli occhi con un cucchiaio. Wilson, Wilson!
Come una novella Santa Lucia, li ho depositati nel piatto. 

A quel punto ho capito che l'omino della strada (almeno del mio livello infimo) non è probabilmente in grado di percepire il disegno complessivo di questa riforma, in cui hanno anche infilato roba che non c'entra nulla con la questione del bicameralismo. Oltre al già citato CNEL (ma si è colta l'occasione e incide poco), riformano anche il titolo V, che riguarda le competenze delle autonomie locali e soprattutto le risorse finanziarie. Insomma, un vero ginepraio.
Così, con l'aiuto del cane, ho composto il numero verde di Scuola Radio Elettra e mi sono iscritto a un corso per corrispondenza per costituzionalisti 2.0 che si concluderà il 2 dicembre, giusto in tempo per il voto. Il docente è Fabrizio Corona, con il supporto di Di Maio per i passaggi più intricati.

Con tutta probabilità mi accompagnerà Graziano Pellè, che tornerà dalla Cina solo per il referendum (che ormai in nazionale si è bruciato). Io indosserò un completo alla Bocelli, con occhiali prestati da Stevie Wonder e arriverò sulla Peugeot di Ray Charles guidata da Alex.

Il cane quando ha visto che mi sono cavato gli occhi, ha perso la pazienza. Mi ha detto: "Stronzo, tu non sei qualificato per il referendum, ma io non ho fatto il corso da cane guida. Ora, il tuo post idiota te lo scrive Italo. Dettalo a lui, così smette di guardare Barbara D'Urso per una manciata di minuti".
"E tu che fai?" gli ho chiesto.
"Ti ho ordinato una ruota per criceti formato gigante su Amazon, così mentre faccio il corso da cane guida, ti tieni in esercizio senza farti male".

Quindi ha chiamato anche lui il numero verde di Scuola Radio Elettra, ma lui non fa il corso per corrispondenza. Ha preferito un mese in un agriturismo di Anguillara. Ha sentito dire che lì ci si diverte un casino.

05 ottobre, 2016

Qualcuno mi dia la forza, oppure che lo si muoia ora

Chi mi conosce fuori da questo pentolone digitale, sa che sono un tipo tenace e perseverante. Sa anche che mi sono da poco lasciato alle spalle un brutto momento, roba de preoccupazioni, rogne, 'nsomma mejo nun pensacce.
Dovrei avere energia da vendere, entusiasmo e speranza. E ne avevo un pizzico di più stamattina, quando — ancora infilato in mezzo al traffico — venivo raggiunto da un breaking news incoraggiante:
"Ndrondrone is gone".
In realtà la vecchiaia mi ha dotato di quella prudenza (come diceva Totò: "La prudentia non è mai troppo") necessaria per non farmi abbindolare dai titoloni.
Sapevo già che Ndrondrone was not gone, not yet at least. Forse è sulla strada, ma uno è gone quando è gone, non un istante prima.
Esso (oggi mi sento di riconoscergli solo questo come pronome) sembra stia per congedarsi in modo definitivo da questo luogo. I dettagli mi interessano poco, anche se esso li sbandiera ai quattro venti, con la stessa eleganza con cui si espongono in pubblico un paio di slip sgommati.
Quando sono arrivato era al suo posto: cioè a zonzo per i corridoi, col testone ciondolante e le immancabili scarpe dal fondo di tek, rumorose quel tanto che basta a rompere il cazzo.
Ho agganciato il portatile e, in compagnia dello strillone di giornata e di un altro gaudente collega, mi sono diretto al bar per il caffè.
Mi hanno ragguagliato sulle novità. Sembra sia fatta. Ma come dicevo è fatta solo quando è fatta. Specie con un materiale instabile come il Ndrondrone, altro che nitroglicerina.
Siamo tornati dal bar placidi, quasi sereni. Entrando nel pollaio, lo strillone e io, stavamo concludendo un discorso mentre prendevamo posto l'uno di fronte all'altro ed esso, dalla sua dimensione parallela, con fare piccato e risentito ci ha subito apostrofato:
"Scusate, ma devo fare ventimila cose, se potete smetterla di parlare".
Noi subito, mentre l'adrenalina mi si riversava a litri in giro, abbiamo risposto: "Ci mancherebbe. Ma certo". 
Nel frattempo esso sovrapponeva un: "Ricordatevi che questo è un ufficio!"
Al che io, che stavo già trasformandomi in un Klingon, controllando al massimo il tono: "Certo, poi, se ce lo chiedi tu".
Forse ha colto una lievissima nota ironica nella mia risposta. Forse eh, non se sono convinto. E allora mi ha risposto: "Strumm, c'è qualche problema?", stile vediamoci all'uscita di scuola che facciamo a botte.
Ho contato fino a un miliardo in una frazione di secondo, battendo la capacità computazionale di parecchi compiuter moderni, quindi — con l'aplomb di un lord inglese — ho specificato:
"Nessun problema. Se hai letto dell'ironia nella mia risposta, ti sei sbagliato". Ho evitato di ricordargli che è un ufficio anche quando porta il trapano a batteria, grugnisce, si addormenta e russa e fa avanti e indietro come se fosse il lungomare Caracciolo, urla in polacco in telefonate probabilmente non lavorative, la lista è infinita, ma io ho evitato di ricordarglielo. Perché ho passato un brutto momento e oggi volevo sentirmi un brav'uomo da "like"  e cuoricini sulla pagina personale.
Poi sono andato al bagno e ho espulso ettolitri di urea con concentrazione di adrenalina al 98%.
Ho recitato il calendario di Frate Indovino avanti, indietro e a sbalzi un paio di volte.
Ho sperato che Andreotti mi comparisse come la madonna di Medjugorje e mi rassicurasse con un bacio.
Sono tornato in stanza con le pulsazioni a 22, pronto a riprendere posto, ma il mio sguardo ha incrociato i bassorilievi da esso abbandonati da mesi sui nostri armadietti (vedi foto) e una nuova scarica di adrenalina mi si è riversata nelle palle. 

Ndrondrone things

Qualcuno mi dia la forza, dico sul serio, perché tutti gli accordi del mondo e la fretta di questa azienda potrebbe non bastare a proteggerlo da morte violenta.
Che qualcuno mi aiuti in uno di questi tre modi:
1) mi dia la forza
2) lo faccia uscire ora, per sempre
3) lo muoia, al mio posto

Grazie.

PS: le sue ventimila cose si erano esaurite nel giro di un paio di telefonate, dopodiché ha ripreso a fare il cazzo di niente tutta la mattina. Entrando e uscendo con una frequenza e perseveranza che neanche il Rocco nazionale può pensare di imitare.

15 settembre, 2016

Io per voi - SOS Terremoto - la raccolta si può acquistare

Finalmente il libro è disponibile. Dico finalmente, ma i tempi di realizzazione di questo lavoro sono stati incredibili. Merito delle capacità, ma soprattutto dello spirito e della buona volontà di tutti coloro che ci hanno lavorato.
285 autori, un numero incredibile.
Ho collaborato e ne sono contento. Ora però, tutti hanno la possibilità di collaborare perché il libro è disponibile per l'acquisto.
E non importa affatto se dentro ci sia un racconto di Terzani, King o di un autore famoso a caso. Non importa neanche se i racconti siano più o meno belli. Non è una selezione, né un concorso. Il libro è un pretesto e un mezzo per aiutare chi è rimasto coinvolto nel terremoto del 24 agosto 2016. C'è la possibilità concreta di raccogliere soldi che potranno fornire aiuto.
Nient'altro che questo.
Si può spendere anche solo 2 euro. Tutto il ricavato (al netto delle commissioni obbligatorie dovute ai metodi di pagamento utilizzati, perché non c'è modo di eluderle) sarà devoluto a loro. Si stanno stabilendo gli obiettivi, progetto singolo o raccolta generica di fondi. Ma sarà tutto per loro. E' davvero una spesa minima e una fatica ridicola se si vuole aiutare.
Chi ha messo "Mi piace" a questa pagina, sospetto possa anche dare seguito acquistando il libro, anche solo a 2 euro, ma volendo anche a una cifra superiore. Perché, ripeto, il libro è solo un mezzo e un pretesto. Non c'è neanche bisogno che lo leggiate, se non volete. Leggerlo e apprezzarlo tutto o in parte, è un effetto collaterale, secondario in ogni caso.
Qui di seguito c'è il link diretto per l'acquisto.

https://www.jotformpro.com/form/62533829563968

Usatelo e condividetelo il più possibile. Non può che far bene.
Ho fiducia che lo facciate. E che lo faccia anche chi non conosceva il progetto e la pagina fino a questo momento, fino a questo post.

Forza!!!

08 settembre, 2016

Inno alla cultura

Per qualche giorno non visiterò il pollaio. Salvo imprevisti tornerò il diciannove settembre. Il diciannove l'ho sempre messo tra i numeri buoni, da non disprezzare. Ho avuto delle buone cose dal diciannove, stavolta tornerò nel pollaio e chissà che non troverò ad attendermi una bella sorpresa. Speriamo, non costa nulla.
Una mia amica ha scritto su FB questa frase: "Molte persone sono vive perché è illegale sparargli".
Come darle torto? È la pura verità. Se si rimuovessero certi ostacoli, suppongo che il mondo diverrebbe in breve scarsamente popolato. I sopravvissuti dovrebbero fare i conti con una popolazione piuttosto vivace, aggressiva e determinata, una rivisitazione del "tutti contro tutti" che giocavamo nel cortile sotto casa quando il pallone era uno e i ragazzini non avevano voglia di organizzarsi, ma solo di tirare calci e correre fino allo sfinimento. Bello.
Su quella frase si può ragionare molto. È una frase preziosa che racchiude molte riflessioni. Il senso di una società, della civiltà stessa, dei nostri istinti, della difficoltà di procurarsi un'arma. È assurdo dover arrivare negli Stati Uniti per poter acquistare una bella automatica da scaricare con gaudio contro qualcuno inerme. Ma quando ce lo esportano questo progresso? #marinovattene
Poi vorrei capire se c'è qualche scorciatoia per aggirare la legge, qualcosa di facile. Cercherò un video su iutubb, tanto lì c'è un esempio per tutto, e una buona parola per qualcuno. Magari non si può sparare, ma sequestrare e torturare fino alla morte sì. In Egitto lo fanno e hanno una cultura molto più antica della nostra. Qualcosa vorrà dire; bisogna sempre tenerlo presente, senza farsi prendere dalle emozioni. Anubi, illuminaci!
Comunque è una frase importante, mi suggerisce che siamo liberi e non lo siamo per lo stesso motivo: regole. Quelle che limitano me, ma anche Ndrondrone (per quelle che riesce a capire, un po' come Di Maio).
Dopo ore di andirivieni isterico, si è seduto. Pensavo che non l'avrebbe fatto più. La pressione sale e ripenso a quella frase, è un pensiero circolare, di quelli fastidiosi come il motivetto idiota che ti resta in mente dopo averne ascoltato pochi secondi facendo zapping alla radio: "L'estate sta finendo, andiamo a comandar!" #scusagiuniscusa
Stamattina ho precisato su FB che io non affronto la politica né il resto della mia vita come un tifoso. Che cerco di essere il più libero possibile, soffrendo tuttavia le regole che mi impediscono ancora di liquidare Ndrondrone. Resetto ogni mattina, senza dimenticare, ma riparto, valuto e scelgo sulla base di ciò che vedo. Il mio problema, e per un momento non sono ironico, è che ho grandi problemi di memoria e faccio fatica doppia o tripla a considerare un evento, perché devo ricostruire molto di ciò che ho dimenticato per giungere a una conclusione di cui mi senta un minimo confidente. Mi succedeva già a scuola, ma chiedetemi qualcosa su un film degli anni '50 o su un disco del '72 e vi stupirò. In pratica ho la miglior memoria inutile della mia generazione.
Tornando al tema, disprezzo questo metodo del like o not like su qualunque tema, anche sul tema del like o not like. Questa esigenza di semplificazione la stanno inculcando, più o meno volutamente (#complottounisciipuntini), attraverso strumenti che proliferano sotto la pelle della coscienza (un discorso che necessiterebbe di un approfondimento a parte). È una semplificazione che allarga il bacino (come la legge Gasparri), che accoglie i meno preparati, che legittima i pensieri più superficiali. Crea curve da stadio ovunque. Umberto-mberto-erto-to aveva ragione.
Il problema non è soltanto l'assurdità di dover dividere tutto in buono e cattivo, bello o brutto. Bambini di tre anni sanno già andare oltre questa concezione ed è quindi facile intuire quanto sia degradante riportare a questo stadio degli adulti. No, questo allargamento esploso sul web (ma in rapido trasferimento anche fuori da esso) suggerisce, a mio parere, una dimensione ancora più terribile, si sta concretizzando la realizzazione dell'individuo nella misura in cui esprime la propria posizione su qualunque cosa o contro qualunque cosa e, nella punta più estrema, in una battaglia continua contro chiunque la veda in modo differente.
Alle 7:30 di mattina leggo post asprissimi pubblicati da persone che stimo, che si svegliano e si affannano a sottolineare per la milionesima volta, spesso con parole di altri, quanto siano pro o contro qualcuno/qualcosa. Cazzo, non è necessario, non quanto il caffè, comunque. E non cambia nulla questa infinita definizione. E non è mai tutto nero o tutto bianco. Solo Ndrondrone è tutto scemo.
Inspirate, contate fino a tre, espirate. Pensate che si può cogliere il meglio da tutti e non trovare il peggio in tutti.
Mi piacerebbe, come a tutti, avere una classe politica che pone sopra ogni cosa la dignità della singola persona. Che persegue la crescita della nazione attraverso l'educazione. Perché l'educazione genera tutto: benessere, civiltà, rispetto, accoglienza e, ovviamente, una classe politica migliore della precedente. Mi piacerebbe, appunto.
Ed è per questo motivo che l'unica battaglia che per me avrà sempre ragione di essere combattuta è quella all'ignoranza, perché tutto può essere ricondotto a quello. Gli errori e gli orrori commessi in nome di qualunque cosa, sfruttano l'ignoranza. La politica sfrutta l'ignoranza, le religioni lo fanno. Lo dice la storia. A un popolo colto, che non si tatua "vaffanculo culo moscio" in cinese senza accorgersene, non interessa metterti il pollice su FB, ma votarti o cacciarti via col voto. Non gli racconti che l'acqua è asciutta se hai finito gli asciugamani. Preoccupiamoci di conoscere, perché conoscere è anche saper riconoscere.
Perché l'unica vera assoluta libertà passa per la conoscenza. Perché un mondo in cui tutti, ma proprio tutti, avessero l'accesso alla conoscenza, sarebbe un mondo in cui il cattivo si vedrebbe come uno stronzo di cane sulla neve e a cui potremmo rivolgere la canna della pistola per un esilio, quello sì, senza indulgenza.

Come dicevano i Clash: "We're against ignorance". Cazzo, aggiungo io.

07 settembre, 2016

L'orizzonte degli eventi e il crepaccio della contessa Elvira

Mi sa che ho messo un piede oltre, non riesco più a vederlo. Meglio così, soffriva di fascite plantare. Devo ammettere di nutrire da molto tempo il sospetto di essere vittima di un campo gravitazionale infinito, una singolarità spaziotemporale classica. Non sapevo ancora se fosse coperta da orizzonte degli eventi o fosse nuda. Avendo fatto il passo più lungo della gamba e avendo perso di vista il piede, posso affermare con certezza la presenza dell'orizzonte degli eventi. 
Sospetto che la mia coscienza risiedesse là in fondo, non si spiegherebbe altrimenti il no-sense che continuo a sperimentare ogni giorno. Sì, sì, devo aver ragionato sempre coi piedi, anzi, col piede. Il mio piede destro (da non confondere col film, 'ché quello era il piede sinistro).
Dopo il piacevole "Concerto per trapano ben temperato" di ieri — critiche entusiastiche a cinque stelle hanno inondato la rete spazzando via le polemiche politiche dell'urbe (anch'essa a cinque stelle) — stamattina il collega di cui lo strabuzzo d'occhi di ieri, ha invitato al bar i pochi polli presenti di buon'ora nel pollaio. In un mondo ideale il suo invito avrebbe coinciso col punto della sinusoide in cui Ndrondrone è lontanto dall'aia. Ma esiste Murphy con tutte le sue certezze, e questo significa — ça va sans dire — che il capoccione dondolante si è aggregato alla truppa.
Essendo il quarantesimo compleanno del nostro collega (di nuovo auguri e uno solo di questi giorni ancora nel pollaio) offriva lui, ma Ndrondrone, sbragato sulla sedia, se ne è voluto assicurare prima di concederci l'onore dell'accompagno. "Eh eh, paghi te: allora auguri!"
Poi mentre zigzagava lungo il tragitto, con me rigorosamente alle spalle per non essere investito, cercava di introdursi in qualunque conversazione nascesse.
Non ricordo con esattezza chi o cosa abbia aperto l'argomento pazienza e tolleranza, ero troppo concentrato a evitare le sue calcagna dalle traiettorie imprevedibili (neanche fossi Sébastien Loeb senza navigatore), ma d'un tratto le mie orecchie hanno udito cose da teatro dell'assurdo (Beckett e Ionesco ce spicciano casa), cose che non avrebbe potuto immaginare neanche Roy Batty (e lui di cose ne aveva viste). Qualcuno, alla presenza del nostro esimio responsabile, gli faceva notare amabilmente e senza traccia alcuna di acrimonia, che di pazienza e tolleranza nel pollaio diamo ampia dimostrazione ogni giorno. Io tacevo ed evitavo ostacoli.
A questa affermazione lui replicava con tono da lasopiùlungaio, "Voi? E io? Ricordati che è tutto relativo nella vita. Se tu sei paziente e tollerante con me, lo sono anch'io, neanche immagini quanto".
All'obiezione pacata che forse il bilancio non è così in equilibrio, lui insisteva, anche un filo piccato.
Ho cominciato a sentire la palpebra vibrare e un poderoso tridimensionale ruggito risalirmi la laringe. Avrei snudato le zanne e scuoiato il suo grugno dallo sguardo bovino con un unico assordante GROWL, ma ancora una volta il terrificante strato culturale che mi sorregge mi ha trattenuto.
Il responsabile, assente ieri mentre un Lerua Merlen era stato improvvisato tra le scrivanie, in un momento di quiete mi ha chiesto lumi, subodorando fosse successo qualcosa di recente. Gli ho detto "Roba de trapani a batteria, lassa sta".
Gli ho chiesto se si possa organizzare un po' di room rotation, come l'affidamento condiviso: 3 anni a noi (già fatti), dieci anni a qualcun altro e così via... Ha sorriso amaro togliendomi anche l'ultima speranza.
Qualche giorno fa, in uno dei tanti fiumi di cazzate che vomita nelle orecchie di chiunque gli conceda un minimo di ascolto, aveva esclamato, sempre ridacchiando: "Perché io so' un uomo pericoloso".
Credo intendesse dire: "Sono un uomo in pericolo". Sì, sì, sicuramente intendeva in pericolo.
Perché lui è un uomo in pericolo, senza alcun dubbio lo è ogni minuto di più.
Qui è pronto l'orizzonte degli eventi e, come diceva il conte Alfonso Pasti, rimembrando la fine della contessa Elvira, finita nel crepaccio. "Il crepaccio. Sparisti nel crepaccio. Ma come sparisti nel crepaccio? Perché? Ma chi t'ha dato la spinta?"


06 settembre, 2016

L'arte del lavoro rilassante.

Iniziamo agevolando l'immagine, scattata pochi secondi fa. Siore e siori non siamo nella bottega di Geppetto, né in un anfratto casalingo dedicato al bricolage. Siamo nel cuore pulsante della niueconomi, dove si sviluppano softuer costosissimi che gestiscono reti costosissime che supportano servizi raffinatissimi, che non funzionano manco a calci...
Ebbene, come rinunciare all'opportunità di costruirsi una cassetta di compensato in ufficio? Non si rinuncia, come insegna Wilde. Così, di ritorno da una riunione (meno tediosa, rissosa e inconcludente della media) torno nel pollaio e mi metto seduto. Il tempo di sbloccare la postazione che parte il rumore di un trapano a batteria. Prego Cthulhu di essere finito in nuovo episodio di "Specchio Segreto" (rifuggo le pacchiane versioni moderne), inspiro a fondo, ma so di aver già perso. Oltre il divisorio della mia postazione, l'argenteo, ingombrante e vuoto testome di Ndrondrone si volta ridacchiando: "Eh, Strumm, do fastidio?"
"Fastidio? per carità, mi ci faccio gli impacchi sul prepuzio col trapano a batteria..." rispondo accomodante.
"Eh, abbiate pazienza due minuti". So duecento anni che abbiamo pazienza, e il mio pensiero vaga tra imprecazioni mistiche di ogni specie. Un collega, uno degli acquisti recenti, ma già martoriato dal Ndrondrone, si alza con gli occhi sbarrati. Mi guarda disperato.
Intanto Ndrondrone comincia a trapanare, cassetta e zebedei, e prosegue imperterrito nonostante gli vengano rivolte, in modo variamente articolato, richieste di interruzione dell'improvvido obbi.
Niente, se ne sbatte il cazzo (detta alla Charlie Hebdo). Continua finché non ha forato completamente la cassetta.
Il collega di cui sopra lo avvisa: "Attento che non diventi la tua di cassa..."
"Ah ah, non c'entro".
"Troviamo il modo".
"Ti faccio a pezzi" spiego sempre più accomodante.
"Non ci entro neanche a pezzi".
E, come si spiegherebbe a un cucciolo di batterio, aggiungo: "Una volta fatto a pezzi, poco me ne cale che tu ci entri oppure no: il problema sarebbe risolto".
"Poi i pezzi li spediamo pure" continua il mio collega con fervore.
"No. Non li spendo i soldi per spedire i pezzi. Se a qualcuno interessa recuperarli, se li viene a prendere".
E lui niente, se ne sbatte e finisce il lavoro. Mentre tutti in stanza subiscono in nome della civiltà che ci impedisce di prenderlo a sediate.
San Giuseppe falegname, anche con l'aiuto di Madre Keith Teresa Richards da Calcutta e di tutti i nullafacenti attorno a te, potete fare qualcosa da lassù? Un fulmine a ciel sereno (o anche nuvoloso), un morbo inguaribile e non contagioso, una storta che gli sgretoli femori e bacino. Insomma, o intervenite voi d'ufficio, o è inevitabile che qualcosa di molto brutto succederà qui, in questo buco maledetto.

Da "Totò Peppino e le fanatiche", Mario Riva insegna l'arte dell'hobby a Peppino.
 

05 settembre, 2016

Déjà-vu, colletti gialli e mani sporche

Qualche giorno fa leggevo un interessante articolo sul fenomeno chiamato déjà-vu.
Il risultato di una specifica ricerca ha spiegato che, con tutta probabilità, si tratta di un processo di verifica che il nostro cervello esegue sulla memoria. Serve ad assicurare la coerenza tra ricordi ed esperienze realmente vissute. Trovo sempre molto affascinante qualsiasi scoperta o approfondimento sui meccanismi che animano il nostro cervello, perché una cosa è certa: ne sappiamo davvero poco.
Questa scarsa conoscenza giustificherebbe, almeno in parte — sotto il profilo biologico —, l'incomprensibile comportamento del Ndrondrone. In ogni caso, oggi il tema è diverso.
Qui in azienda si stanno concretizzando grandi cambiamenti, si sviluppano in modo più o meno sotterreaneo da quasi un anno, ma ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato le trame stanno venendo alla luce.
Càpita allora che si intercettino nei discorsi, nelle telefonate, durante le audioconferenze, nomi che pensavo sepolti dietro cumuli di polvere, in cassetti sconnessi di credenze nascoste nella soffitta della memoria. E càpita anche di incrociare volti che un giorno erano familiari, quotidiani, presenti. I compagni di giornate passate a sbattersi su documenti e su attività infinite.
Come per tutte le cose, ci sono aspetti positivi e negativi. C'è soprattutto un rimbalzo temporale, la percezione istantanea di quanto tempo sia passato, di quanto tutto sia cambiato senza modificarsi affatto. Certe facce sono uno specchio indiretto, la consapevolezza che si è invecchiati, perché lo specchio è invecchiato. L'impercettibile pendenza dello scorrere del tempo si tramuta in un gradino improvviso contro il quale si infrangono le tue fragili convinzioni di essere rimasto un ragazzotto.
Mi piacerebbe tornare a quei tempi, non soltanto per recuperare quindici e più anni di vita, o per cullare l'illusione di poter evitare qualcuno degli errori commessi (solo i morti non sbagliano mai), ma per assaporare di nuovo l'entusiasmo e gli stimoli che in quei giorni mi spingevano a dare qualcosa che andasse oltre l'impegno imposto dal senso del dovere.
Forse questo cambiamento, questo cerchio che si chiude all'indietro, ci spingerà in avanti. Lo farà senza un progetto, lo farà perché è nel destino. È una possibilità che auspico. Preferisco tornare a combattere per un obiettivo di cui capisco i contorni, piuttosto che soffocare le imprecazioni più turpi contemplando l'andirivieni insensato del Ndrondrone o le chiacchiere imbarazzate e tardive di chi ho pizzicato scappare dal bagno senza lavarsi le mani. Adulti quasi sessantenni, padri dalle parvenze civili che "omettono" di darsi una sciacquata dopo esserselo scrollato nel segreto di un loculo.
Di questa miseria umana, da cui neanche io posso fuggire, ne ho avuto abbastanza.

31 agosto, 2016

Cella frigorifera o piranha?

Qualche anno fa mi capitò di vedere un documentario sui piranha. La loro aggressività, oltre a ispirare una serie di lungometraggi d'autore, rappresenta nell'immaginario collettivo una specie di riferimento assoluto. Non troppo grandi, non troppo carini (sembrano dei pac-man con le pinne), eppure così letali. Il documentario spiegava che la frenesia che li trasforma in belve incontrollabili è scatenata, molto semplicemente, dal superamento dei 26° delle temperatura dell'acqua. Questo accade perché, per istinto, il riscaldamento dell'acqua suggerirebbe al loro cervello che la concorrenza sta diventando eccessiva e il cibo potrebbe scarseggiare. Quindi, caccia le zanne e magna!
Insomma, vanno capiti: meglio un bagnante oggi che un pollo domani.
Osservando il pollaio in cui vegeto molte ore al giorno, devo ammettere che di piranha non v'è traccia. Qualche scorfano, un paio di bavose, quattro calamari e uno sgombro. Di squali è piena l'azienda, ma non scendono mai nei nostri loculi, quelli predano dove le carni sono più saporite, la nostra è al massimo di seconda scelta. Nulla di troppo appetitoso.
A volte, però, l'effetto termico si innesca. La convivenza, l'intimità al limite del promiscuo innalza la tensione, pizzica i nervi, inietta gli occhi di sangue.
L'altra mattina, il 25 agosto per l'esattezza, Ndrondrone interrompe un discorso chiedendoci se sapessimo se A. viene al lavoro o sta ad Amatrice. Qualcuno gli dice che è ad Amatrice dalla notte prima, come volontario della Protezione Civile, lo è da molti anni. Ndrondrone è in ansia, qualcuno gli chiede il perché. Lui risponde che vuole chiamarlo per raggiungerlo, per andare a dare una mano, perché BISOGNA aiutare!
Gli diciamo, scrivigli, non lo chiamare, mandagli un sms o un messaggio con whatsapp, non lo chiamare. Quando avrà modo ti risponderà. Ringrazia in modo esagerato e se ne va col volto stravolto da pensieri di salvatore della patria.
Non farà poi nulla, per fortuna.
Ma qualche ora dopo si avvicina a un collega. Con fare ammiccante gli chiede: "Tuo figlio è ancora appassionato di fotografia?" Lo era due mesi fa, non c'è motivo che sia finito tutto così velocemente. Il collega comunque risponde cauto: "Immagino di sì, perché?"
"Be', questo è il momento giusto", ridacchia. Poi, vista la mancanza di reazione del mio collega, Ndrondrone prosegue, sempre ammiccante: "Per andare ad Amatrice con la macchinetta. Io pure c'ho pensato". È appassionato di fotografia da sempre, ma qui — a me che sono stronzo — non può che chiudersi il circuito con l'episodio di ansia mattiniera.
Il mio collega ha la prontezza di rispondergli con un viso di marmo: "Andrebbe a fare lo sciacallo".
E lui, temporaneamente consapevole: "Eh, be', certo, non è il caso". Assume anche un'aria contrita, giusto un secondo. Poi riprende a passeggiare freneticamente su e giù.
E la temperatura sale, non c'è verso di evitarlo, supera i 26, i 28 e i 30 gradi. Aumenta anche la puzza, senza sosta fino a oggi. La stanza è satura di questo puzzo di meschinità. Chiedo a un collega di aprire un po' la finestra, c'è bisogno di cambiare l'aria, siamo intrisi di aria condizionata e stronzate vaporizzate.
Lui rientra pochi secondi dopo in stanza, ha da fare una telefonata di lavoro dopo giorni di nulla. Mentre compone il numero, nell'illusione che qualcuno gli dia retta come si fa con un grande manager, esclama: "Si può accendere l'aria condizionata? Fa caldo ed è umido". Nessuno lo fila, ma sento qualche mandibola scattare.
E così penso con desiderio all'acquisto di una bella cella frigorifera da esterno. La collocherei nel giardino qui sotto. Messa nel punto giusto, lo inghiottirebbe durante una delle sue passeggiate a capo chino. Neanche se ne renderebbe conto. Si chiude da fuori (e si apre solo da fuori). I consumi non sono un problema, non c'è nessuna necessità che venga mai accesa. Vicino ai grossi motori del condizionamento dell'edificio, nessuno la noterebbe. Sarebbe un modo ecologico per ripulire l'aria, stemperare l'ambiente ed evitare che dei buffi pesciolini si trasformino in famelici piranha.

Io Scrivo per Voi - SOS Terremoto



Lo metto anche qua, perché ogni possibilità va sfruttata. Questa iniziativa, promossa da Andrea Franco (uno scrittore che lavora per Giallo Mondadori), è nata in seguito al sisma del 24/08 scorso. Esistono tanti modi per provare ad aiutare le persone coinvolte in questa catastrofe. Ho amici che sono lì, o sono stati lì, come volontari, intervenendo nelle operazioni di salvataggio e di allestimento dei campi. Altri hanno contribuito o contribuiscono offrendo beni attraverso le raccolte organizzate. Altri ancora inviano soldi, con bonifico o con il noto SMS al 45500.
È importante tenere presente che nessuna di queste possibilità esclude l'altra. Nei limiti delle capacità di ciascuno di noi, si possono fare anche più cose. Questa iniziativa tenterà di raccogliere fondi mettendo in vendita un eBook realizzato con il contributo gratuito, totalmente gratuito, di autori. Non c'è stata selezione, non è un concorso. Il tutto è stato realizzato in tempi brevissimi, perché la velocità è elemento strategico in questa situazione. Si sta procedendo alla correzione dei testi, circa duecento. Tanti sono rimasti fuori soltanto per questioni di tempo, perché organizzare la raccolta è comunque impegnativo ed era necessario porre un limite.
Il senso è partecipare, provare a contribuire. Io l'ho fatto mettendo a disposizione un racconto inedito e offrendomi per la correzione dei testi. Da parte vostra, se davvero non avrete la possibilità di acquistarlo (sarà comunque messo in vendita a un prezzo basso per aumentare la diffusione il più possibile), potrete comunque diffondere l'iniziativa tramite amici, conoscenti o viandanti che dovessero inciamparvi davanti mentre andate al bar per uno spritz.

Questo è il link della pagina facebook dedicata: 

https://www.facebook.com/ioscrivopervoi/

#IoScrivoPerVoi

Baci.

24 agosto, 2016

Speriamo che stanotte ce fa dormi'!

Senza tregua.
Le mie risorse sono limitate, ma non esiste mai tregua.
Alle 10 passate Ndrondrone varca la porta dell'ufficio, e drammatico come nemmeno Lawrence Olivier in diretta da Helsinor, ha sfogato tutta la sua esperienza notturna verso un pubblico indifferente e anche un filo infastidito. Perché nessuno te l'ha chiesto e perché, soprattutto oggi, dei tuoi presunti problemi non può fregarcene di meno.
Ma quello non la smette, parla e straparla, che gli si dia spago oppure no. E mette in fila una serie di cazzate e contraddizioni senza fine.


La cronologia degli eventi. 
E' una cosa importante e ha fatto finire in gattabuia molti cialtroni.

"Ho dormito un'ora e mezza, dalle sette alle nove" (pure Francis il mulo parlante sa che sono due ore)
"Mi sono svegliato alle tre e mezza" (e quindi hai dormito almeno fino a quell'ora oltre che alle due di prima)
"Poi dopo la seconda scossa non ho più ripreso sonno" (suggerisce che tra le due scosse ti sia riappisolato e andiamo sempre a sommare)
"Ho acceso la TV su rainews24", quindi, ridacchiando prosegue "stavano facendo la telecronaca" (che cazzo c'è da ridere?)
"Poi so arrivato alle 10" (ma non è affatto chiaro il perché non sia venuto prima)
"Sennò dovevo prende' un giorno di ferie, invece così prendo due ore e vado via" (che cazzo vuol dire? arrivo alle 10 per evitare di prendere il giorno, e prendo solo due ore? E' un quiz di fisica quantistica?)


Affermazioni random.
Sempre senza domande, lui prosegue così:
"Sai, è brutto quando ti svegli che il parquet cigola. Poi ho due lampade che..." (non finisce la frase, ma ammicca come se il concetto fosse evidente).
"Il gatto è impazzito. Sai, io vivo da solo, ho il gatto. E' impazzito" (temo non sia l'evento di questa notte ad aver mandato fuori controllo lo sventurato felino).
"Poi io vivo al sesto piano" (l'altezza sarebbe più che sufficiente).


Quindi le utili conclusioni
Perle di saggezza, oserei dire

"Certo che è stata una brutta botta", e poi, sbragato sulla sedia: "Speriamo che stanotte ce fa dormi'!" chiude ridacchiando.


Ora lo so, giuro che lo so, in fondo è una brava persona. Ma non si può. Bisogna sapersi misurare, bisogna avere consapevolezza di sé, del contesto, dell'ingombro. Almeno in giornate del genere è necessario contenersi. Lui non è un mostro da web, di quelli pronti a lapidare l'aria con luoghi comuni e odio gratuito da frustrazione di vita grama. Non è uno sciacallo.
No, lo so. Ma non è neanche normale comportarsi da deficiente totale, da non capire i contorni del mondo, della realtà che si vive. E' come osservare un brutto fotomontaggio dell'alba del cinema, si vede il contorno, si capisce che è incollato su uno sfondo col quale non potrà mai mescolarsi a sufficienza. E allora, almeno, il silenzio mitigherebbe il pessimo effetto.
Soprattutto oggi.

19 agosto, 2016

La quadratura del cerchio

Oggi è giorno di Solidarietà in ufficio. Di 18 agosto, quando la quasi totalità dei dipendenti è in ferie, significa che il comprensorio, il palazzo, il piano, il corridoio e le stanze sono vuote. Quasi tutte, ça va sans dire, nella nostra siamo cinque su 12.
E indovinate Ndrondrone?
Alle 8:00 bruciava chilometri e tabacco fuori dell'edificio. Alle 8:02 mi frantumava i gioielli in stanza. Alle 8:05, dopo l'ennesima uscita/entrata/uscita dalla stanza chiedeve se avessimo caldo (l'aria condizionata era già a palla da chissà quanto). Quando gli è stato risposto di no da un mio garbato collega, ha esclamato "Allora sono io. Si vede che non mi sento bene".
"Vai a casa, se stai male" gli è stato risposto con serenità.
"Eh no, e che mi prendo mezza giornata di ferie?"
"No, ti metti in malattia, se stai male".
"No, no: che malattia!"
E ha ripreso a passeggiare in stanza, ho ringraziato il destino che non mi ha reso disponibile un bazooka in quel preciso momento.
Comunque, più tardi, è saltato fuori che per il terzo o quarto anno consecutivo, ad agosto, lui ha terminato ferie e permessi... No, non scherzo: ha terminato tutto. Di solito accade a luglio.
La settimana scorsa il personale gli ha autorizzato un giorno di ferie extra. Ben inteso: è stato ancora lui a rendere noti i suoi cavoli al mondo intiero.
Il giorno di ferie extra altro non è che un anticipo sulle ferie dell'anno successivo. E' un meccanismo semplice, chiedi e ti sarà dato. Molto cristiano.
Così, ragionando oziosamente su questa logica, abbiamo concordato sul fatto che il personale ha tutto da guadagnare da questo metodo. L'anticipo ferie è garantito dal TFR ed è un credito per l'azienda.
Certo, l'assenza straordinaria dall'ufficio potrebbe recare qualche ripercussione operativa, ma anche sotto questo aspetto — con il Ndrondrone — c'è solo da guadagnarci.
In realtà abbiamo dedotto, a seguito di sapienti elucubrazioni e complesse simulazioni al computer (basate quasi interamente su tabelle pivot e macro excel) che se intensificassimo questa abitudine, se la estremizzassimo, se si riuscisse a convincerlo che una richiesta massiva e sistematica di ferie anticipate non potrebbe che fargli bene, avremmo trovato la soluzione ad almeno tre questioni gravose e impellenti (ragioniamo su qualche decennio di ferie).
1) lui potrebbe godere di più tempo fuori dell'ufficio per ritrovare la serenità perduta e dare il giusto spazio ai suoi più nobili interessi (ora non è il momento di perderci in dettagli, ma la degustazione di veleni potrebbe essere una splendida occupazione)
2) l'azienda recuperebbe, attraverso il credito accumulato, parte del mastodontico debito che l'affligge. In conseguenza di ciò potrebbe decadere l'esigenza dell'istituto della Solidarietà e potrebbe essere restituita, con la giusta gradualità, una serie di privilegi per tutti i dipendenti
3) last, but not least: le probabilità che mi tramuti in un truce assassino (stile Canaro) verrebbero azzerate in pochissimo tempo. Come si dice: "lontano dagli occhi, lontano dalle palle".

Se oggi applicassero la logica preventiva di "Minority Report" il mio nome uscirebbe con costanza e ineluttabilità a ogni estrazione. Estraiamo lui e s'abbracciamo.

Dio salvi la regina!


Note: senza i miei colleghi non sarei mai riuscito a dimostrare che ce la possiamo fare. Un grazie anche alla suola in gomma che oggi silenzia la camminata del Ndrondrone.

18 agosto, 2016

Una crepa interdimensionale

"Visto che devo sta' qua tutto il giorno, meglio avere qualcosa da fare". Sacrosanto!
Il problema è che, in modo graduale, a causa degli effetti spesso devastanti di quel fare, i compiti a lui affidati sono diminuiti fino a raggiungere lo zero. E così, non si capisce bene il perché da prima delle 8:00, ogni mattina ndrondrone è qui ad annoiarsi. E ad annoiare. Spende dai 60 ai 700 euro giornalieri alle macchinette, tra taralli, crostatine, cipster al formaggio e caffè. Per tenersi sveglio, si capisce. Come Totò in "Totò, Peppino e i fuorilegge", quando contestava alla sua avarissima moglie (l'inarrivabile Titina De Filippo) lo scarsità della tazzina, che gli serviva per esser desto.
Per inciso, ogni tanto dovremmo rivedere tutti i primi dieci minuti di quel capolavoro di comicità. Fa bene al cuore.
Comunque la dilapidazione della metà dello stipendio tra macchinette, bar e mensa non è affar mio. Lo è il continuo andirivieni tra la macchinetta e la stanza su scarpe dai tacchi rumorosi, scartando costantemente involucri fruscianti, sgranocchiando senza contegno e girando freneticamente caffé che poi beve con risucchio. Sì, come un bambino alla prima minestra calda. E, come un bambino, grugnisce, starnutisce senza controllo e condivide tutta la sua attività corporea.
Poverino, si annoia, e deve ammazzare il tempo, si capisce. Almeno finché il sottoscritto non lo libererà in via definitiva da questa agonia (la Roma - Fiumicino è sempre a due passi da qui, semmai volesse fare una bella sgambata contromano).
Ora nel pollaio siamo diventati dodici, responsabile incluso, e qualcun altro, che prima non frequentava ndrondrone, ha iniziato a rendersi conto della situazione. Gli si dà fiducia tutti, in principio, perché è un povero cristo, ma poi ci si accorge, abbastanza in fretta, che è una vera jattura e che meno si interagisce, meno si intacca la propria dose di pazienza e tolleranza da ufficio.
Così arrivano nuovi richiami, più o meno aspri, difficilmente acidi come i miei, da nuove persone, e questo — a chiunque altro — indurrebbe un minimo di riflessione, di autocritica, ma in lui no. Lui è imperturbabile, invulnerabile, ineffabile, o più semplicemente incosciente. E' chiuso in un bozzolo di insensibilità simile a quello di un arto addormentato. Sono tutti sassi gettati in uno stagno. Non c'è verso che abbia, anche solo per l'accidentale collisione di due neuroni, uno scatto di consapevolezza. Sospetto che in quel testone ci sia il vuoto pneumatico, o un brodo primordiale pronto a tracimare e a spazzare via l'umanità e la versione di realtà che conosciamo.
E poi ci sono gli episodi, infiniti, che mi mandano in vibrazione, imponendomi nuovi interrogativi. E non li cerco io, me li raccontano sadici colleghi che ormai conoscono quanto io sia debole.

Gli ultimi due aneddoti.

Primo:
entrato alle 7:30 o giù di lì, alle 9:25, aggregandosi a un gruppo di colleghi al caffè lamenta di non aver potuto timbrare perché i lettori indicavano tutti "uscita". Lo sbigottimento ha assalito i presenti per due semplici motivi:
  • quei lettori sono installati da anni e tutti, anche un ricciolo di polvere del garage, sanno che basta toccare lo schermo per commutare da "uscita" a "entrata".
  • ha, come molti di noi, l'obbligo di una sola timbratura ed è del tutto indifferente se la stessa sia indicata come "entrata" o "uscita" purché sia rispettato l'orario
Secondo: 
ha cinquantanni, nulla da fare in ufficio, visto che lamenta la noia, ma lascia che sia suo padre ottantenne a fargli la denuncia dei redditi e non si preoccupa di verificare, al minimo, che sia stata fatta. Poi scopre, quando non gli arriva nessun rimborso, che il padre — sant'uomo —  aveva inserito tutto correttamente sul sito dell'INPS, ma si era fermato all'esito OK della verifica automatica (supponendo fosse sufficiente) senza inviare i moduli completati. Ora deve rivolgersi a un commercialista e fare il modello unico.
Unico. E' la definizione più calzante e meno crudele.
Sì, lo so, comincia a sembrare un'ossessione, ma posso garantire che se lo spostassero anche solo di due stanze più in là, tutto si concluderebbe. Sto esorcizzando, sto razionalizzando, sto evitando di diventare un killer.
Preferisco pensare che a causa di una sfortunata crepa nel tessuto spazio-tempo una "cosa" sia precipitata in questa versione dell'universo, in questo continente, nazione, città, ufficio, stanza e che, prima o poi, arrivi qualcuno a riprendersela indietro, anche senza chiedere scusa (ci mancherebbe).
A me bastava Menelao Strarompi di Panelli. Questo eccesso di realtà mi strema. Datemi fiction (non RAI se possibile).



08 agosto, 2016

Quella strana vacanza a Zagabria.

Leggevo dell'incidente occorso ad Adriano. Mi dispiace per lui, ma non mi sorprende più di tanto: è sempre stato schiavo del suo storico tormentone. Quando iniziammo a fare parapendio, ormai molti anni fa, appena toccavamo terra intonava quel ritornello strillato e roco. L'istruttore, un ex-paracadutista di Belluno lo guardava con divertimento e, più per spegnere le grida, che per reale convinzione, si organizzava subito per il volo successivo. Per la legge dei grandi numeri, prima o dopo sarebbe dovuto accadere.
Comunque questa sventura del Pappa, mi ha fatto ricordare uno strampalato viaggio in Croazia (all'epoca splendida Jugoslavia) in compagnia di Werner Herzog e K.K. Era più o meno questo periodo dell'anno, a pochi giorni dal ferragosto. Werner mi chiamò dopo colazione, lo ricordo con certezza, perché corsi dal bagno ancora a braghe calate (nel 1985 non esistevano i cellulari). Quando gli confessai che mi aveva beccato sul trono,  ridemmo di gusto. Werner è un uomo di grande cultura e per questo trova divertente anche l'umorismo alla Gianni Ciardo.
Comunque mi chiese se volessi accompagnare lui e K.K. a Zagabria. Colse la mia perplessità e quindi mi spiegò che K.K. era infastidito dalla notorietà di cui ancora godeva Bela Lugosi, nonostante la sua formidabile interpretazione di Nosferatu. Aveva deciso di andare oltre, voleva fare abbattere la distanza tra l'attore e il personaggio.
Esclamai: "Werny, ma che cazzo si è bevuto stavolta?"
"Niente, lo giuro. E' quasi un mese che va avanti questa storia, e se non lo porto a Zagabria non se ne esce".
"Scusa l'ignoranza, ma perché Zagabria? Ma non è più logico andare in Transilvania per queste cose?"
"Ma dove vivi? Non lo sai che i dentisti in Croazia costano la metà?"
A quel punto realizzai: K.K. voleva farsi impiantare due canini super-extra-lusso. "Ma non gli basta una dentiera col fischietto, di quelle di Carnevale? C'è un giocattolaio sotto casa mia che le vende a 1500 lire".
"A K.K.? Scherzi? No, lui vuole l'impianto funzionante".
"Capisco, è una questione seria. Mi do una pulita e ti richiamo".
"Ok, ma sbrigati!"
"Ah, prima che mi dimentico: io per ferragosto avevo già in programma un viaggio in Polonia con l'amico di Martucci".
"Ma con le calze?"
"E le penne. Abbiamo già tutto, si va a Cracovia", spiegai.
"Eh, vediamo. Al limite prendi un aereo da Zagabria e lo raggiungi".
Finì che ci incontrammo a Trieste e da lì, con l'auto di K.K., proseguimmo insieme. Pareva di viaggiare nella macchina degli Addams: un incrocio tra un carro funebre e un castello ambulante. K.K. l'aveva fatta personalizzare e si era attrezzato perfino un sagello dove riposare durante i lunghi tragitti. A me sembrava un tantino eccessivo, ma Werner si era raccomandato di non dargli peso, per non aggravare l'ossessione del nostro amico.
Per inciso, con la scusa del vampirismo, se ne stava tutto il tempo incappucciato e con le mani incrociate e a noi toccava guidare.
Per fare conversazione bisognava provocarlo parlando di Bela.
Arrivati a Zagabria riuscimmo a convincerlo a vestire un po' più casual, per non dare nell'occhio. Facemmo leva sul fatto che un vampiro a zonzo sotto il sole a picco attira l'attenzione.
Cercammo subito un barbiere: doveva radersi la pelata con cura una volta al giorno.
Nel pomeriggio andammo dal dentista. Aveva un attico stile Bertone in piazza Petar Preradović, le finestre affacciavano sulla cattedrale della Trasfigurazione del Signore, una coincidenza bizzarra, viste le intenzioni di K.K.
Io e Werner avevamo provato a dissuaderlo con cautela, come quando si fa con un adolescente che voglia tatuarsi un giaguaro sulla scapola o un ideogramma sulla pancia, se ne avrà a pentire prima o poi, ma K.K. è sempre stato cocciuto come un asino di Orosei.
Il dentista, tale Franjo Susic, gli scarabocchiò un paio di idee sul retro di un manoscritto del XIII secolo.
La prima bozza avrebbe trasformato K.K. in una specie di tigre dai denti a sciabola, col rischio di infilzarsi il costato al primo colpo di sonno. Nel secondo, più discreto, i due grossi denti avrebbe poggiato sul mento, anche qui, soluzione poco pratica.
Cercando di aiutare il mio amico, lanciai l'idea di una dentatura retrattile. Werner alzò il sopracciglio incuriosito, mentre K.K. ordinò: "Disegnalo!"
"Ok", risposi. Allungai la mano per farmi passare la penna dal dott. Susic, ma questi sghignazzò: "Te la sogni questa penna, è appartenuta a Paracelso!"
In effetti sembrava una BIC piuttosto antica e preziosa. Non potevo perdermi in una discussione del genere. Mi guardai intorno e, non vedendo alcuna penna a disposizione, chiesi loro di aspettare e andai a recuperare il borsone per Cracovia dal portabagagli della macchina.
Per sbrigarmi portai su tutto.
Quando tirai fuori il pacco di BIC, K.K. mi sgranò gli occhi e posso assicurare che quello sguardo era inquietante anche senza zanne sguainate. "Ma che cazzo ci fai con tutte quelle penne?" esclamò in dialetto transilvano.
"Devo fare ferragosto con l'amico di Martucci, a Cracovia", risposi.
"Non mi avevi detto niente".
"K.K., sono due giorni che parliamo solo di denti e di Bela Lugosi", lo rimproverai bonariamente.
A quel nome fu scosso da un brivido. "Ok, ok. Ma a che ti servono quelle penne a Cracovia?" chiese, mentre anche Franjo si sporgeva dalla sua poltrona Luigi XV.
"Be', insomma, insieme alle calze di seta che ho nel borsone, dovrebbero spianarci la strada..."
"Ma di che parla?", si intromise il superdentista.
Chiusi il pugno e feci un gesto inequivocabile col braccio. Improvvisamente fu come se un enorme sole si fosse acceso in quello studio sterminato.
K.K., in un unico elegante movimento, lanciò il mantello oltre una finestra aperta e spianò la gobba. Sul viso gli si aprì un sorriso da marpione. Franjo Susic allontanò con un calcio la costosa poltrona mandandola in frantumi e si piazzò a gambe divaricate in una posa alla Elvis Presley: "E se mi aggregassi? Ho una collezione di penne antiche!"
Io restai con la BIC in mano, a bocca aperta. Incrociai lo sguardo di Werner, silenzioso alle loro spalle. Mi sorrideva sornione, forte della sua profonda conoscenza dell'animo maschile che così si può riassumere: "Tira più..."
Nel pomeriggio partimmo per Cracovia su una Rolls bianco perla del nobile odontoiatra. Che poi, coi prezzi dei dentisti a Zagabria, ancora non sono riuscito a spiegarmi come avesse accumulato tante ricchezze.
A Cracovia incontrammo l'amico di Martucci, aveva dimenticato penne e calze, ma ne avevamo d'avanzo.
K.K. si trasformò in una specie di Sukia al maschile, Vlad III di Valacchia impallidirebbe al racconto della devastazione che K.K. riuscì a portare nella città polacca.
Anche l'odontoiatra piazzò qualche otturazione e non fu da meno l'amico di Martucci. Werner e io li lasciammo fare, sono bimbi, si sa.
Werner riprese qualche scena, che poi, saggiamente, decise di dare alle fiamme.
Una sera, mentre K.K. gongolava tra due polacchine, Werner mi si avvicinò: "Guarda. Osserva", suggerì intrecciando le mani nel classico gesto dell'inquadratura. "Ha abbandonato il ruolo, la sua ossessione, e ora è felice".
Mi sentii in dovere di correggerlo: "Werny, a me sembra solo che abbia cambiato ossessione. Ha ancora delle brutte occhiaie, ma non sono più fatte con la matita".

04 agosto, 2016

Pranzo ad Alghero, in compagnia di uno straniero.


Ndrondroni esclusi, l'ufficio in agosto è più tranquillo.
Così oggi, stufo dei panini del bar, ho deciso di prendere un aereo per mangiare un boccone in spiaggia ad Alghero.
Volevo arrivare a Castelsardo, ma rischiavo di non fare in tempo per uno staff meeting fissato alle 14:00.
Sulla spiaggia di Alghero, passa quotidianamente un tatuatore indiano che realizza ritratti impressionanti anche sui petti villosi. Gli ho visto realizzare un Chuck Norris in venti minuti che levati! I capezzoli sono diventati occhi penetranti e il vello una fantastica criniera con barba.
Quando sono arrivato, mi sono subito sparato un metro quadro di carasau imbottito di porceddu e innaffiato di mirto bollente. Una vera delizia per il palato.
Contavo che arrivasse l'artista, avendo deciso di omaggiare la mia compagna incidendomi uno suo ritratto a dimensioni reali con sotto la scritta 'A una persona piace questa foto' accompagnata da un bel pollice all'insù. Una cosa moderna, social, trendy. Tutto ciò che mi appassiona, ma si sa che la vita ci riserva spesso delle sorprese ed è stato così anche ad Alghero.
A due ombrelloni di distanza ho notato un vecchietto rinseccolito infilato in un poncho malmesso.
Lì per lì non l'avevo riconosciuto, sebbene quella mise mi risultasse bizzarra nonostante l'ambiente vezzoso che sono solito frequentare ogni giorno.
Poi ha sollevato il braccio e infilato il sigaro in bocca: era il mitico Clint Eastwood!
E' tanta l'ammirazione che provo per lui, più come regista che come attore a essere sinceri, che non potevo evitare di andare a incontrarlo.
Ho preso una bottiglia di filu 'e ferru' dalla borsa frigo (perché avevo letto su wikipedia che ne va ghiotto) e mi sono diretto verso la sua temporary beach house.
Clint è silenzioso, ha lo sguardo imperscrutabile, più rughe di E.T. e un fascino che odora di tabacco andato a male.
Se ne stava seduto con gli stivali buttati da un lato, coperti da uno Stetson meraviglioso. Mancava solo il lazo per una perfetta natura morta western. Lo chiamo, ma non batte ciglio. Provo con l'accento di San Francisco (ne padroneggio almeno una ventina), ma continua a fissare imperterrito davanti a sé, verso il mare splendido della Sardegna.
Con garbo, provo a sventolargli davanti la bottiglia di nettare trasparente, senza preavviso l'afferra con un movimento fulmineo, il movimento Sergio Leone #24. Sorrido, lui non corrisponde. Ma quanto è guappo!
Con un morso strappa il tappo di sughero, lo sputa via insieme alla dentiera!
Tracanna senza staccare gli occhi dall'orizzonte. Poi la infila per metà nella sabbia, non si preoccupa di passarmela.
E' proprio Clint Eastwood, cazzo! Vorrei essere Eli Wallach per gridargli "Ehi, biondo, non conosci le buone maniere?"
Ne sorseggio un po' anch'io e la ripiazzo nella sabbia. Sta passando il tatuatore, ma ormai il mio obiettivo è parlare con Clint. Mi organizzo per un selfie accanto a lui, ma come preparo la fotocamera sento un 'ntz-ntz'. Mi volto, lui sta facendo rotolare tra i denti il sigaro, orienta le pupille verso di me e ripete 'ntz-ntz', vuol dire niente foto.
Rimetto subito in tasca il telefono.
"I've read your opinion about Trump", azzardo, per scoprire se l'argomento lo interessa. Stringe per un attimo il sigaro, poi si rilassa.
"It was interesting: He says stupid things, still you're going to support him" aggiungo. Non so se il mio inglese lo aggradi, ma il senso dovrebbe coglierlo. Nessuna reazione.
Mi rassegno, dopotutto è già meraviglioso trascorrere qualche tempo sulla spiaggia assieme a uno dei miei miti.
Passa un quarto d'ora, beviamo un altro po' e comincio a fissare anch'io l'orizzonte.
Un vociare alle nostre spalle attrae la mia attenzione. C'è un gruppo di persone armate di telefonini che arretrano riprendendo qualcosa.
Allungo il collo per capire cosa succede: stanno filmando l'avanzata di una coppia. Sono Fortini e Muraro. Lui infilza cartacce, lei gli tiene aperto un saccone nero per l'indifferenziata. Si sorridono, sembra scoppiata la pace. Giungono fino a noi. L'arco dei cronisti si allarga includendo anche Clint e me, sono così concentrati sulla strana coppia che nessuno sembra riconoscere il cineasta americano.
"Ecco, vede?" esclama Fortini con piglio autorevole. "Si trovano schifezze anche sulle meravigliose spiagge della Sardegna, e i turisti ci si accampano accanto senza protestare. E' così: nella rassegnazione alla sporcizia, che si viene sommersi dai rifiuti!"
Non capisco a cosa si riferisca, ma la Muraro annuisce compiaciuta e allarga la bocca del sacco.
Quando Fortini allunga la pinza, Clint sguaina la Colt e gliela punta in faccia: 'ntz-ntz'.
Tutti restano paralizzati, i cronisti continuano a filmare. Scoprirò in seguito che c'era anche una diretta web in corso. "Si calmi, metta via quella pistola! Voglio solo raccogliere quella schifezza gialla accanto a lei", prova a spiegare Fortini.
'ntz-ntz'
La Muraro riconosce quel volto e cinguetta: "Ma è Clint Eastwood!", un brivido percorre i presenti. Una cronista sviene per l'emozione.
"Signor Eastwood, vogliamo solo ripulire la spiaggia", aggiunge la dirigente. Poi un omone obeso allarga la fascia dei cronisti. E' grondante d'acqua, di ritorno dal bagno, è calvo e lentigginoso. Si china verso la schifezza, fa l'occhietto a Clint e se la piazza sulla pelata. "Thank you, pal!"
Clint annuisce. "I'm not going to support you anymore", aggiunge.
Il ciccione lo guarda perplesso.
"You told me you can't swim", continua Clint. "I don't care if you say stupid things, but you're a lier. I brought you here to check".
"But I could have died".
"Yes, but honestly".
In lontananza sento Tuco gridare "Ehi, biondo... Lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio di una grandissima putt..."
Clint si gira e mi passa la bottiglia. "I think I'm going to miss the staff meeting", osservo.
Il biondo sorride.

A cena con David Zard e Dario Baldan Bembo

Ieri pomeriggio mi chiama David Zard, è a Roma insieme a Dario Baldan Bembo e mi chiede se ci si vede per cena.
Verifico i miei appuntamenti con la segretaria, poi lo richiamo "OK, ti mando le coordinate di gmap via mail".
"Mandale a Dario", mi dice lui: "Io uso lo StarTAC".
E' sempre stato un po' reazionario.
Lo porto da "Gino lo Scavezzacollo", un ristorante storico in cui si cucina qualunque cosa, ma con specialità di pesce e carne. Mi conoscono, e quando entro con i due miei amici, mi danno un tavolo tranquillo, all'angolo della sala.
David mi confessa di esser diventato un vegano integralista, da due settimane, e districarsi nel menù non è banale.
Mentre si abboffa di carote e altre soluzioni creative, da Gino i vegani sono fuori luogo, io e Dario sbraniamo carpaccio di cuore di cerbiatto, cervello di rane, purea di zinne di vacca.
Gli chiedo come mai è a Roma.
"Mi ha chiamato la nuova giunta".
"Devono organizzare un concerto in piazza?"
"No, è per la raccolta dei rifiuti".
Sbarro gli occhi e mi lecco le dita dal sangue dell'agnello moribondo accasciato sulla fiamminga posta tra me e Dario. "I rifiuti?"
"Sì".
"E in che modo dovresti aiutarli?"
"Sai che vogliono cambiare rotta, che vogliono rompere con i vecchi metodi, la vecchia politica, bla-bla-bla?"
Annuisco e lui continua. "L'idea è di sfuttare le mie capacità organizzative nello spettacolo per organizzare eventi abbinati alla raccolta differenziata settimanale. Chi non va a un evento organizzato da David?"
Dario sorride mentre strappa il polmone a un pulcino pigolante.
"La peppa, che trovata!" esclamo impressionato. "Stavolta hanno fatto centro! Spero tu accetti!"
"Eh, non sono sicuro".
"Perché? Aiuteresti tanto Roma".
"Sono impegnato nell'organizzazione del megaconcerto di Pineto, e purtroppo c'è qualche problema".
"In che senso? Ho letto che Orietta è in gran forma".
"Sì, dopo il risveglio dall'ibernazione sta che è una meraviglia, ma non riesco a trovare il giusto gruppo d'apertura".
"Vuoi scherzare? Faranno la fila!"
"Macché. Ho provato anche a Roma la settimana scorsa, ho fatto centinaia di audizioni tra gli emergenti. Vorrei dare l'occasione a dei ragazzi. Ma tutte queste band alternative sono terrorizzate dal giudizio dei social. Il fatto di avere il mare sullo sfondo, un palco di quattrocento metri quadri, l'amplificazione di campovolo e centomila spettatori non basta. Loro devono stare nella serata "giusta". Non suonano prima di Orietta neanche a pagamento".
Interviene Dario, "Gli ho detto di fare come l'anno scorso. Ha la soluzione già pronta, ma vuole INNOVARE".
"Scusa, ma parli degli Slayer?"
"Sì, aprirono il concerto di Orietta e fu grandioso. Duettarono con lei in 'Finché la barca va'. Senza considerare cosa combinarono in albergo dopo il concerto. Osvaldo è ancora imbarazzato. Sono ad Alba Adriatica tutto il mese".
"Scusa, ma sei riuscito a convincere gli Slayer e non riesci a convincere un gruppo emergente?"
"I più grandi sono sempre i più umili. Loro erano qui per una vacanza gastronomica a base di arrosticini e olive ascolane. Come ho prospettato la possibilità di suonare sul lungomare e garantirsi una settimana di cibarie gratis (a onor del vero pretesero anche montepulciano a volontà) hanno firmato".
D'un tratto vedo David tendersi in viso. Do le spalle alla sala e quindi non capisco cosa stia seguendo con lo sguardo, ma è sempre più nervoso. Provo a richiamare la sua attenzione, ma mi fa un gesto brusco con la mano. Continua a guardare da sinistra a destra e ritorno e mi intima di non voltarmi. Senza distogliere l'attenzione dal misterioso obiettivo alle mie spalle, rovista sul tavolo finché non afferra un grosso coltello che ci avevano lasciato per affettare una cucciolata di cinghiali. David è rosso in volto, sconvolto dall'ira, ma concentrato su qualcosa o qualcuno. Non vorrei essere quel bersaglio. Sento un ringhio salirgli dalla gola e infine, urlando un "Fermati maledetto!", scaglia con violenza il lungo coltello affilato. Sento un versaccio soffocato e poi un grosso tonfo sordo.
A quel punto mi alzo di scatto e mi volto.
Ndrondrone è lì, agonizzante, con le mani cerca di estrarsi la lunga lama che gli ha attraversato il collo recidendo la carotide.
"E cazzo!" esclama David, "E' da quando ci siamo seduti che fa avanti e indietro e ciondola quella testa enorme!"
Gli stringo una spalla. "Ti capisco".
Ci sediamo tranquilli, qualcuno nella sala applaude. Dei camerieri trascinano via la carcassa, il barbecue è sempre acceso nel giardino.
Il volto di David è tornato sereno. Si riempie il bicchiere di vino e chiama il cameriere.
"Vuole altre carote? Offre la casa" gli dice con un sorriso sincero.
"No, grazie. E' possibile avere una tagliata di cuccioli di panda?"
"Ma certamente! Anche questi li offre la casa per..." il cameriere tentenna, ma indica con la mano la pozza di sangue sul parquet lucidato.
"Ottimo! E dell'altro vino!"
Gli altri ospiti della sala lentamente si avvicinano, si radunano intorno a noi. E' il magnetismo di David.
Con lui ogni occasione diventa un evento, un successo.
Salute!

10 marzo, 2016

Una faccenda di culo



Stamattina, mentre - chiuso in un cubicolo ventilato di 4mq - davo un senso alla mia giornata lavorativa, sono stato colto da un pensiero improvviso e sconcertante, così totale e violento da spazzare via tutte le certezze costruite con fatica in decine d'anni di apprendimento e riflessioni.
Il pensiero è iniziato così: "E se fossi nato..."
Da questo incipit si sono sviluppati rami imprevedibili, ve ne elenco soltanto alcuni:

  • afgano
  • ricco
  • rom
  • superdotato
  • donna
  • a Pechino

Ho capito, con estrema velocità, anche grazie all'impellenza dell'aria pestilenziale che mi stava avvolgendo, che le possibilità erano sterminate e che, proprio a causa di questa varietà, la proposizione legata alla subordinata di cui sopra (usando correttamente congiuntivo e condizionale) possedeva un contenuto di natura esistenziale terribile. Di seguito qualche esempio (tutte situazioni del tutto fantasiose eh):

  • afgano - sarei stato ridotto in poltiglia durante una missione di pace
  • ricco - avrei vinto le primarie del PD a mani basse
  • rom - avrei dovuto spiegare che zingaro è un termine generico a connotazione dispregiativa associato a molte etnie
  • superdotato - avrei avuto un bel lavoro, faticoso, ma appagante
  • donna - avrei ripreso da ieri a tirare l'aratro
  • a Pechino - non sarei stato cattolico! Urka! Com'è possibile? Ma non è l'unica religione che contiene la verità e tifa per il solo unico dio giusto e reale?

Insomma, mi è venuto l'atroce dubbio che sia tutto frutto del caso. Sì, insomma, bastano un gene, un cromosoma, l'accidentalità del luogo o della famiglia di nascità per determinare non solo la tua prospettiva di vita, ma anche le tue convinzioni.

Un bel problema. La carta era quasi finita. Mi sono lasciato alle spalle una brutta faccenda e sono tornato alla scrivania con questo nuovo dilemma: è davvero solo una questione di culo?

Sono sicuro che tutti voi, persone intelligenti e razionali, siate giunti a questa banale conclusione da moltissimo tempo, ma io ho sempre sofferto di pigrizia intestinale.